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I fondi sempre più attratti dal lusso: pelletteria e beauty nel mirino

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studio Deloitte

I fondi sempre più attratti dal lusso: pelletteria e beauty nel mirino

Il rallentamento globale del settore esiste, è innegabile, ma per gli investitori il lusso resta ancora un Eldorado da conquistare: è quanto emerge dalla prima “Global Fashion & Luxury market - Private Equity and investors survey 2016” di Deloitte, che ha fatto il punto sulle m&a del 2015 nel mondo fashion&luxury intervistando i principali investitori internazionali del settore. Operatori sempre più attivi, soprattutto quelli basati in Europa e Asia, e ben consapevoli che i settori del personal luxury goods sono quelli con più alta marginalità rispetto a tutti gli altri e fra i più remunerativi, in media del 20-30% in più rispetto agli altri. Tanto che i fondi, nel 36% dei casi, hanno pagato un multiplo di 15 volte l'Ebitda del target.

Nel 2015 le operazioni sono state 141, dal valore medio di 426 milioni di dollari, la maggior parte nel settore abbigliamento e accessori, anche se le più ingenti hanno coinvolto il segmento dell’hotellerie; le transazioni sono avvenute principalmente in Europa e Nord America, le culle del lusso, anche se poi le maggiori aspettative di crescita conducono ai mercati asiatici. «A differenza dei due anni precedenti il 2015 e 2014 sono stati anni di rallentamento per le grandi operazioni di m&a - spiega Patrizia Arienti, partner Deloitte e responsabile Fashion & Luxury Emea -, una tendenza che si ripeterà anche nel 2016, dal momento che gli investitori affermano di voler investire soprattutto in aziende dai ricavi entro i 100 milioni di dollari».

Investimenti abbastanza “prudenti”, dunque, che anche quest'anno interesseranno soprattutto il settore abbigliamento e accessori (trainato dal boom della pelletteria, scarpe in primis), e quello della cosmesi e fragranze, che promette un'ottima crescita soprattutto nelle fasce più alte e nel vivace segmento dei brand artigianali: peraltro, questa industria è la più presa di mira dai fondi che già hanno in portfolio un asset fashion&luxury, mentre i “neofiti” si dicono più attratti dai gioielli.

Dal punto di vista delle aziende, l’apertura a nuovi capitali nel 77% dei casi ha implicato la cessione della maggioranza da parte delle vecchie proprietà: «Vendere o far entrare nuovi soci è una scelta dettata dall'esigenza di diventare aziende e brand globali - commenta Elio Milantoni, partner Deloitte ed esperto di m&a -, dunque di raggiungere nuovi mercati e di sviluppare una rete di vendita adeguata. Strategia che spesso implica anche nuovi investimenti nel digitale, settore nel quale le aziende sono a volte molto carenti, ma nel quale vengono supportate dai nuovi investitori. Stiamo riscontrando una progressiva apertura “mentale” da parte degli imprenditori , anche perché i fondi, in questi settori, tendono a mantenere una significativa partecipazione della vecchia proprietà, soprattutto quando è molto legata agli aspetti valoriali e stilistici dell'azienda».

Se gli investimenti, però, si focalizzano su aziende “medie”, e lo faranno anche in futuro, questo aspetto potrebbe penalizzare l'Italia e il suo tessuto di piccole e micro imprese d'eccellenza: «Si preferisce investire in aziende che hanno già una struttura adeguata per una espansione, anche se certamente l'asset del made in Italy ha molto valore all'estero - spiega Milantoni -: diciamo che però già con 50-60 milioni di ricavi si inizia a essere appetibili».

Tuttavia l'Italia potrebbe essere un paradiso per chi è interessato a investire nel “lusso esperienziale”, in costante crescita: «Il mercato complessivo del lusso è aumentato del 5% a cambi costanti, mentre quello dei “personal luxury goods” si è fermato a +2% nel 2015», conferma Arienti. Ma su questo fronte gli investimenti privati dovrebbero essere sostenuti da quelli, urgenti e necessari, del Sistema Paese.

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