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L’Europa prioritaria per l’export di moda

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L’Europa prioritaria per l’export di moda

La frenata degli Usa, le sanzioni alla Russia, la svalutazione della moneta cinese, la Brexit e il terrorismo in Europa. Sono molti i fantasmi che non permettono alle imprese della moda italiana di dormire sonni tranquilli. Alcune realtà devono la maggior parte del proprio fatturato ai Paesi stranieri mentre altre, che hanno continuato a concentrare il proprio business sul mercato domestico, oggi guardano all’estero alla ricerca di opportunità di crescita.

A Pitti Uomo 90, in corso a Firenze con oltre 1.200 brand dell’abbigliamento maschile, ci sono molte imprese che, sul fronte export, navigano a vista: non nel senso negativo del termine, che può sottintendere la mancanza di una strategia ben definita, ma di prontezza di riflessi: «Dobbiamo ai mercati stranieri il 70-75% dei nostri ricavi annui – spiega Fiorella Tombolini, titolare dell’omonima azienda di abbigliamento maschile – e stiamo vivendo una situazione di grande incertezza, come tutti. Però le dimensioni della nostra azienda ci garantiscono flessibilità». I vertici della Tombolini, azienda familiare con 20 milioni di euro di fatturato, tengono gli occhi puntati su due eventi che Fiorella definisce «decisivi per il futuro di tutti»: la potenziale svalutazione del remimbi da parte del governo di Pechino e la Brexit.

Il mondo della moda, anche quello Oltremanica, non vede di buon occhio l’uscita del Regno Unito dalla Ue: secondo un sondaggio online del British Fashion Council e indirizzato a designer e imprenditori inglesi – a rispondere sono state 290 persone – il 90% voterà no. Un risultato simile a quello ottenuto dal Creative Industries Federation Survey con oltre il 96% degli intervistati a favore della permanenza nell’Unione. La risposta definitiva arriverà solo il 23 giugno e i timori rimangono: secondo Fiorella Tombolini la Brexit «non rappresenta un problema di per sé: mi preoccupano, piuttosto le ricadute di questo evento sull’Ue». La ricetta perfetta non esiste. Ognuno ha la propria: «Offriamo prodotti sempre più innovativi come i capi con tessuto Zero Gravity, in primis l’omonima giacca, super leggera – dice Fiorella Tombolini – e coltiviamo il rapporto con i nostri clienti sul fronte dei servizi. Abbiamo rafforzato la nostra struttura distributiva interna per essere presenti in modo capillare sul mercato».

Enzo Fusco di Fgf Industry – il cui core brand, Blauer, 35 milioni di euro di fatturato 2015, da 15 anni in licenza al gruppo veneto, celebra a Pitti Uomo i propri 80 anni – concorda sul fatto che i mercati stranieri rappresentino un’incognita: «La ripresa degli Usa – dice – non è stata così marcata come si pensava». Ma l’incertezza non frena i piani di sviluppo: «L’estero pesa per il 30% sul fatturato Blauer – spiega – con Germania e Spagna tra i mercati più performanti. Punto a raddoppiare questa percentuale entro due o tre anni. Negli Usa, dove Blauer è nato come marchio di abbigliamento della polizia, siamo presenti con la Fgf Industry Usa, ma nel 2017 faremo una joint venture con una società locale per la distribuzione e non escludo che apriremo un negozio. Apriremo una società per operare direttamente anche in Giappone e partiremo con la distribuzione in Inghilterra: credo che dopo tutto il Regno Unito non uscirà dalla Ue».

Colmar, marchio che fa capo alla brianzola Manifattura Mario Colombo, deve ai mercati stranieri una fetta ancora limitata dei ricavi, che nel 2016 supereranno i 100 milioni di euro: «L’estero assorbe il 30% dei ricavi Colmar – dice Stefano Colombo, responsabile marketing – ma è in crescita: distribuiamo in 40 paesi». La situazione geopolitica non va sottovalutata: «Ce lo ha insegnato la vicenda dell’ex Urss: negli anni Duemila era uno dei principali clienti Colmar, da due anni a questa parte gli acquisti dei russi sono calati anche in Europa». A crescere sono stati i mercati europei: «La Germania nell’ultimo anno e mezzo ha registrato un raddoppio del fatturato stagione su stagione. Tra i prossimi traguardi inserirei il Far East e il Nord America, espandendoci ma in modo “sostenibile” e ragionato».

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