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Marie-Louise Sciò: «Identità, ricerca dei dettagli e…

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i talenti del lusso

Marie-Louise Sciò: «Identità, ricerca dei dettagli e apertura alle contaminazioni: ecco la mia ricetta per gli hotel di lusso»

«Dopo anni di lavoro in hotel e da cliente in giro per il mondo e dopo mille conversazioni con viaggiatori, ho avuto l'impressione che tantissimi alberghi abbiano un potenziale inespresso e che manchi una vera identità. La gente oggi cerca un lusso capace di far vibrare il cuore e una tribù in cui riconoscersi. L'intangibile è in realtà più che mai tangibile».

Marie-Louise Sciò, 38 anni, è la vice presidente e creative director del Pellicano Hotels Group. È lei, in altre parole, l’artefice del successo di due destinazioni da anni nel taccuino del jet set internazionale: La Posta Vecchia, nobile residenza a Palo Laziale (sulla costa nord di Roma) già di proprietà di Getty, e Il Pellicano a Porto Ercole, raffinato rifugio a picco sul mare della Maremma.

Laureata in architettura alla Rhode Island School of Design, dopo un’esperienza newyorchese da Costas Kondylis & partners e poi in Italia con Massimo Zompa, la Sciò ha iniziato a lavorare proprio nell’hotel di famiglia all’Argentario, quando il papà Roberto le chiese inizialmente di ristrutturare alcune suite e poi di ripensare tutte le stanze e gli ambienti comuni. Da allora è stata capace di capitalizzare la lunga e importante storia del luogo (che ha festeggiato lo scorso anno il cinquantesimo anniversario) creando un concetto contemporaneo dove la contaminazione è la parola d’ordine. Sua l’idea, ad esempio, del libro sulla cucina del Pellicano (quando ancora c’era lo chef Antonio Guida, oggi al Mandarin di Milano, prima dell’attuale Sebastiano Lombardi, nda) con le fotografie di Juergen Teller e il racconto di Will Self. O quella di trasformare i due hotel in temporary yoga retreat (prossimo appuntamento: la settimana dall’8 al 15 luglio) con la celebre insegnante Moraima Gaetmank.
E ancora le “conversazioni” con personaggi della cultura al pool bar: tra le altre quella con Saverio Costanzo e Alba Rohrwacher (1 agosto) e con Livia Firth (26 agosto).

Oggi Marie-Louise Sciò, senza lasciare il ruolo nel Gruppo e in attesa di aprire un “urban” Pellicano (forse a Londra?), vuole mettere la sua esperienza e le sue competenze al servizio anche di altre strutture, e così ha appena lanciato MLScio Consulting, una società di consulenza per il settore dell'hôtellerie.

Come si riesce a esprimere l'identità e il potenziale di un hotel?
«In mille modi diversi: dalla scelta della musica alle divise del personale, dalle tovaglie in sala agli elementi visivi della comunicazione. Serve coordinare tutti i sensi del cliente, serve un direttore d'orchestra capace di armonizzare l'esperienza alberghiera in maniera organica, direi seamless (“senza cuciture”, nda)».

La Garden Room della Posta Vecchia a Palo Laziale

E cosa invece manca a molti grandi hotel oggi?
«Manca la sensazione di entrare in una precisa dimensione. Gli hotel devono essere contenitori di storie ma prima bisogna chiarire qual è il mondo che si vuole creare per i propri clienti. Gli alberghi sono dei prodotti e il messaggio deve essere chiaro e leggibile. Ci sono tante occasioni di contatto con gli ospiti e vanno sapute sfruttare per emozionarli. Oggi molti hotel investono tantissimo sul design ma poi appena gratti la superficie manca la sostanza. Magari spendono 100mila euro per rifare una stanza e poi apri il frigobar e trovi dei succhi di frutta industriali. Manca la vera ricerca e l’attenzione a ogni dettaglio».

Da dove parte una consulenza del genere?
«Il mio ruolo è quello di “hotel doctor”. Leggo un hotel e faccio una diagnosi, capisco le qualità e i dettagli da comunicare, creo il team adatto con i professionisti giusti per ogni segmento. Non serve per forza stravolgere un hotel con investimenti milionari: basta saper prendere il meglio ed esaltarlo, dare una visione forte, creare un concetto che diventi il filo rosso da esprimere in tutti i reparti alberghieri, dal front desk all'F&B alle stanze, e che sia coerente in tutte le componenti visive e sensoriali».

Quali sono i suoi hotel di riferimento nel mondo?
«The Greenwich Hotel a New York, per la grande identità e la cura in ogni dettaglio, dove si percepisce che ogni cosa è autentica; il Deetjens Big Sur Inn, in California: non ha nulla del grande hotel e addirittura molte stanze hanno il bagno in comune, ma ha uno charme unico, con i vecchi pavimenti che scricchiolano, una collezione di vinili di musica classica, è senza TV e copertura per i cellulari, si cena a lume di candela e ti preparano i pancakes più buoni d’America; e poi il Charlotte Street Hotel a Londra, quintessenza di inglesità, anche nel sense of humour che si riflette in un décor originale e divertente».

Al Pellicano c'è anche una boutique, dove a ogni stagione seleziona una collezione coerente con lo stile del luogo. Quali sono i suoi designer preferiti?
«Rahul Mishra, uno stilista indiano che usa il tradizionale ricamo indiano in una maniera contemporanea, senza snaturarlo. Iris van Herpen, una giovane designer olandese che unisce tecnologia e moda e che non prescinde mai dall'architettura del vestito. E poi Missoni, per la tradizione e il senso di famiglia. Vendono in tutto il mondo ma non hanno mai cambiato la loro storia e la loro identità».

Il Pellicano in una foto di Stephen Ringer

Qual è un dettaglio a cui tiene particolarmente nei suoi hotel?
«Ho chiesto a Leonardo Colombati, che è un amico e un grande scrittore, di selezionare i 50 libri da leggere almeno una volta nella vita (nella lista si va da Ovidio a Don DeLillo) da tenere nella libreria a disposizione dei clienti dell'hotel. Oggi molti hotel comprano i libri “al metro”, è un mio grande cruccio. Lo stesso vale per la musica, che deve sempre comunicare qualcosa di preciso. Odio le playlist “lounge” negli hotel, un termine che abolirei».

A proposito, qual è la sua personale playlist del momento?
«Le grandi voci femminili, come Ella Fitzgerald, Nina Simone e Sister Rosetta Tharpe. E poi la musica elettronica, dagli Orbital agli Autechre, sparata a tutto volume in cuffia per trovare ispirazione».

I suoi oggetti feticcio?
«Due anelli di Pomellato che non tolgo mai, una coperta che mi ha dato mio padre quando ero in collegio in Svizzera, e una Moleskine per scrivere le mie idee rigorosamente a matita».

Il viaggio della vita e quello che ancora deve fare?
«Sono stata di recente in Lapponia con mio figlio Umberto. È stato un viaggio di estremi – estremo freddo, estremo buio –, un’esperienza mistica, un’avventura straordinaria a caccia dell’aurora boreale. Non sono ancora stata in Mongolia, mi piacerebbe visitarla a cavallo, vivere i suoi paesaggi forti con pochi contatti umani».

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