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Dolce&Gabbana, visita ai laboratori orafi dove nasce l’alta gioielleria

Un bracciale in oro 18 carati tempestato di ciliegie in pavé di rubini, foglie in pavé di smeraldi e foglie d'oro incise a mano e, in alcuni casi, smaltate. Totale: 200 ore di lavorazione. Rigorosamente “made in Dolce & Gabbana”.

Il laboratorio dell'alta gioielleria del marchio, che celebra per tre giorni i trent'anni dalla fondazione a Napoli, guest star Sophia Loren, neo cittadina onoraria, è infatti interamente verticalizzato nel quartier generale in acciaio e cristallo di Legnano (vicino alla Malpensa), il cuore della produzione e della logistica del brand. Una divisione nata nel 2008 per estendere l'offerta dagli oggetti in argento alla fine jewelry, e approdata poi all'alta gioielleria grazie al nuovo posizionamento di Dolce & Gabbana verso il lusso esclusivo. A Napoli, i 40 gioielli da donna e i 15 da uomo sfileranno in passerella sia nell'alta moda sia nell'alta sartoria, pronti a catturare il desiderio degli ospiti provenienti da tutto il mondo, abituati ad acquistare pezzi unici, anche su ordinazione, i cui prezzi sono ovviamente top secret.

CREATIVITÀ E KNOW HOW
«L'alta gioielleria è la conseguenza naturale dell'alta moda e dell'alta sartoria: facciamo solo quello che ci piace, con la stessa creatività che usiamo per i vestiti e gli altri accessori. Per noi l'impossibile non esiste e abbiamo rapidamente ottenuto la fiducia dei clienti, grazie agli specialisti cui ci siamo affidati», spiegano Domenico Dolce e Stefano Gabbana, durante una visita ai laboratori di Legnano dove, a una settimana dall'evento alle pendici del Vesuvio, sono in corso i ritocchi finali dei capolavori di alto artigianato, «vere e proprie eccellenze che soltanto noi italiani siamo in grado di garantire», aggiungono i due stilisti-imprenditori, che nell'ultimo esercizio fiscale hanno realizzato ricavi consolidati di quasi 1,2 miliardi, in crescita del 13%.

CAMICE BIANCO E VISTA DA FALCO
Il primo laboratorio è quello orafo, dove lavorano sei artigiani (più altri tre per i picchi di produzione, per un totale di 150 pezzi all'anno): ai banchetti, c'è chi incastona, chi smeriglia, chi sbalza, chi lucida, chi salda, chi compone un pavé con diamanti da 0,5 millimetri di diametro con l'occhio al microscopio, chi incide e chi cesella (anche se per alcune di queste due ultime operazioni ci si affida anche a terzisti di Valenza, Milano e Varese). Il laboratorio ha pure rilanciato il cesello in filigrana, realizzato all'interno a otto mani, praticamente scomparso dal mercato, e scommesso su un complicato metodo di fusione a cera persa per trasformare veri rami in corallo in perfette riproduzioni in oro.

Della filiera interna fanno parte cinque gemmologi che analizzano e poi selezionano ogni singola pietra (sopra 0,30 carati viene inciso il logo per testimoniarne l'unicità) destinata anche alle produzioni esterne del segmento fine jewelry. E sul versante orologi, dove è indispensabile abbinare tradizione e tecnologia, tre tecnici si occupano dell'”emboitage” con un macchinario di precisione aerospaziale, mentre finiture, assemblaggi e cassa sono ovviamente Swiss made. Ogni orologio è un pezzo unico, inserito nella collezione alta gioielleria, che sta riscontrando un successo importante anche fra gli uomini. Quasi pronto per Napoli, un secret watch per signora nascosto in un bracciale su cui sboccia un pomodoro, uno dei simboli dell'Italia che piace ai clienti statunitensi e cinesi, mediorientali e russi.

LA FORZA DELL'ITALIA E DI NAPOLI
«Se non ci fossimo circondati di specialisti del settore - concludono Dolce & Gabbana - non saremmo stati in grado di sviluppare prodotti con una simile libertà creativa e tecnico-produttiva. Sia o anche stupiti dalla velocità con cui il mercato ha recepito i prodotti, ad esempio le tiare e le corone fabbricate anche nella linea fine jewelry. Ora celebriamo tutto questo a Napoli, una città che amiamo e di cui mostreremo le bellezze anche artistiche e culturali ai nostri ospiti. Puntare sull'Italia è compito di tutti noi: è la nostra casa e noi siamo i suoi figli».

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