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Furla, semestre record con ricavi a 194 milioni (+28%). In Borsa entro il 2018

Un primo semestre di rinnovamento societario, quello di Furla, che non ha intaccato il percorso di crescita, anzi. «In luglio e agosto l’andamento delle vendite ha seguito quello del periodo gennaio-giugno e siamo ottimisti per l’intero esercizio», spiega Alberto Camerlengo, direttore generale della storica azienda, fondata a Bologna nel 1927 e per molti anni concentrata “solo” su borse e piccola pelletteria da donna. Negli ultimi anni la gamma di prodotti si è ampliata: sono nate le collezioni di borse da uomo e di scarpe da donna e si sono aggiunte tre licenze, accessori tessili con Ratti, occhiali con De Rigo e orologi con Morellato. Risultato: dal 2000 il fatturato è più che raddoppiato (nel 2016 supererà quasi certamente i 400 milioni) e oggi il marchio ha 425 monomarca nel mondo, metà dei quali di proprietà.

Furla è un player importante nel segmento del “lusso aspirazionale”, quello che negli ultimi anni è cresciuto di più e per il quale la maggior parte degli analisti prevede un ulteriore aumento delle vendite da qui al 2020. Magari non a due cifre, però. Come invece è successo a Furla: nel primo semestre i ricavi sono arrivati a 194 milioni, in aumento del 28% a cambi correnti e del 27% a cambi costanti. «Raccogliamo quello che abbiamo seminato negli scorsi anni, diversificando il rischio geografico: oggi esportiamo il 79% del fatturato e siamo presenti in oltre 100 Paesi», precisa la presidente Giovanna Furlanetto, figlia del fondatore Aldo.

Piglio e spirito emiliano, l’imprenditrice sente «un’affinità particolare con il Giappone», dove Furla è presente dal 1990 e che non a caso è il primo mercato (assorbe il 26% dei ricavi). «I consumatori giapponesi sono i più attenti alla qualità e al rapporto qualità-prezzo, apprezzano lo stile italiano e amano il nostro Paese. A patto che il design non sia estremo o il logo sovraesposto – precisa Giovanna Furlanetto –. Sono profondi conoscitori del lusso e se non si cercano scorciatoie e si offrono servizi, oltre che prodotti, sanno essere molto fedeli, anche in periodi di ciclo economico negativo».

Semestre di cambiamenti, oltre che di crescita, dicevamo all’inizio: a maggio l’allora amministratore delegato Eraldo Poletto lasciò l'incarico per poi diventare ceo di Ferragamo. Pochi giorni prima la famiglia Furlanetto, che resta azionista di maggioranza, aveva aperto il capitale a Tamburi Investment Partners (Tip), con una formula che la presidente di Furla e il dg Camerlengo definiscono «innovativa». L’accordo siglato con il fondo di Giovanni Tamburi è propedeutico alla Borsa: ha portato alla sottoscrizione di un prestito obbligazionario da 15 milioni convertibile e convertendo in azioni Furla. Inoltre, sempre con l’Ipo, Tip avrà il diritto di sottoscrivere e far sottoscrivere a terzi un’ulteriore quota dell’offerta al pubblico. «La famiglia ha sempre reinvestito nell’azienda e non siamo esposti con le banche. Potremmo continuare a crescere con le nostre sole forze – spiega la presidente – ma per continuare a conquistare quote di mercato all’estero servono investimenti in distribuzione, marketing, comunicazione e digitale che non sono molto lontani da quelli dei grandi gruppi del lusso. Non si tratta però solo di sviluppo del marchio: con la quotazione possiamo premiare il management e tutte le persone che lavorano con noi e per noi. Siamo da sempre molto attenti alla sostenibilità ambientale e a quella sociale e ci fa piacere che siano temi ai quali i consumatori del futuro, i Millennials, sono particolarmente attenti».

La data della quotazione dipenderà dalle condizioni dei mercati, ma quasi certamente avverrà entro il 2018. Intanto Furla continua a orchestrare lo sviluppo su diversi canali, oltre a monomarca e wholesale: il travel retail (negozi negli aeroporti e corner sulle navi da crociera) è cresciuto del 38% e conta 223 punti vendita nel mondo.

«Investiremo poi nella piattaforma e-commerce, gestita internamente, e per i social stiamo costruendo una squadra che produca contenuti originali, non semplici messaggi promozionali», conclude Camerlengo.

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