
Quasi tutti amano viaggiare, e in particolare quasi tutti amano viaggiare in Italia per l’arte, il paesaggio, la natura, il buon cibo, la simpatia. C’è però un’altra caratteristica che ci viene sempre riconosciuta: l’accoglienza, di altissimo livello e unica, la cui tradizione si riassume in alcuni alberghi gestiti da famiglie appassionate, spesso le stesse fin dall’apertura, con a capo le ultime generazioni.
Sono hotelier, spesso meno che cinquantenni, che hanno viaggiato, frequentano le più significative esposizioni, come Pure a Marrakech e Iltm a Cannes, partecipano ai forum internazionali dei migliori agenti di viaggio, come Traveller Made e Virtuoso, fanno parte delle migliori collezioni di alta hotellerie, come Leading Hotels of the World e Relais&Chateaux. E fanno network, creando buone relazioni tra di loro e itinerari da proporre al mercato estero per promuovere l’eccellenza italiana. Viaggiando frequentemente sanno come si sta evolvendo l’alta ospitalità nel mondo, e confrontandosi con ospiti prevalentemente stranieri - la percentuale di connazionali negli alberghi di lusso italiani è al massimo del 10%, per dichiarazione stessa degli albergatori – hanno elevato il servizio agli standard internazionali.
Ciò che curiosamente accade sempre più spesso, è che insieme alla proprietà promuovono il loro territorio, facendosi portavoce delle bellezze e delle esperienze che i dintorni offrono. Infatti, chi meglio del proprietario e del suo personale conosce e sa raccontare le eccellenze e le attività locali? Ed è nel suo interesse farle sperimentare agli ospiti, per appassionarli e farli tornare. Abbiamo incontrato i proprietari di alcune di queste straordinarie aziende di famiglia per farci raccontare storia, aneddoti, progetti. Iniziamo con un viaggio nella Costiera Amalfitana.
Antonio Sersale (Le Sirenuse, Positano): «Il mio omaggio al grande artigianato italiano»
«La prima cosa importante è che l’albergo piaccia a chi lo fa, proprio come se fosse casa sua», dice Antonio Sersale, direttore e proprietario di Le Sirenuse di Positano e “Hotelier of the Year” alla conferenza di Virtuoso nel 2015. Di fatto, Le Sirenuse era la casa della famiglia Sersale che il padre di Antonio, Franco, e i suoi fratelli Aldo, Paolo e Anna trasformarono in hotel nel 1951. «In albergo io ci vivo, e a volte invito gli ospiti a pranzare con me, proprio come a casa. Tant’è che gli ospiti riferiscono di sentirsi più in una dimora che in albergo. E secondo me la presenza della famiglia proprietaria imprime un’originalità agli ambienti che non si trova negli alberghi di catena, dove la proprietà è assente, e la personalità del direttore viene compressa perché deve figurare il brand», continua il distintissimo signor Antonio.

«Diversamente, lasciano ampio spazio a un grande architetto che probabilmente realizza anche un progetto bellissimo, ma il risultato è sempre un po’ freddo. Credo che ci sia qualcosa di molto speciale negli alberghi di lusso di famiglia italiani, qualcosa che li rende specialmente amabili, come le tovaglie e le argenterie che non si usano più da nessuna altra parte». Sersale ritiene che grazie agli alti ricavi medi delle stanze le piccole aziende di lusso si possono permettere di investire in manutenzione e migliorie continue. «Un occhio esperto capisce appena entra nella lobby quale sarà più o meno il prezzo della camera. Basta guardare come è tenuta. La manutenzione è tutto in un hotel, e io sono maniacale in tal senso. Una volta all’anno faccio arrivare una ditta specializzata dal nord Italia per trattare, pulire e lucidare i marmi dei bagni, e durante i cinque mesi di chiusura è costantemente all’opera una squadra di imbianchini, piastrellisti, operai. Abbiamo un falegname-restauratore che lavora a tempo pieno per noi, altri due per fare periodicamente la messa a punto di porte e finestre e una squadra di bravissimi giardinieri».
I Sersale si occupano di ogni cosa, curano l’arredo, a eccezione del centro benessere disegnato da Gae Aulenti, grande architetto e amica di famiglia. Negli anni la proprietà si è sviluppata ed è cresciuta in modo coerente, modernizzandosi senza obnubilare il passato. All’entrata si nota il richiamo all’architettura moresca locale: i pavimenti sono fatti a mano dalla ditta De Martino di Ogliara; molti mobili sono di antiquariato, i vasi della terrazza sono di Stingo, antica manifattura partenopea, il mosaico della piscina richiama un disegno romano conservato al museo archeologico nazionale di Napoli.

I divani sono del tappezziere romano Balestrucci e le maioliche di un “riggiolaro” (cioè un artigiano ceramista, ndr) che le dipinge su commissione. Tavoli, sedie, bicchieri, piatti, ogni oggetto è frutto di una meticolosa ricerca sul territorio. «Non c’è nulla di globalizzato, solo il grande artigianato italiano. E non importa che tutti sappiano quanto lavoro e studio e discernimento ci sia dietro. L'importante è trasmettere l'atmosfera, e qualora invece passasse il vero intenditore, cosa che prima o poi accade, sicuramente capirebbe. Ciascuno ha i suoi punti sensibili, che si attivano in circostanze particolari. Bisogna cercare di far risuonare quelle corde». A creare la celeberrima atmosfera delle Sirenuse concorrono però anche le lanterne in ottone marocchine, le 450 candele che ogni sera illuminano la sala da pranzo, i quadri della collezione di famiglia e i mobili d'epoca, i cuscini ricamati in India, che si possono poi comprare come souvenir all’Emporio di Carla, moglie di Antonio e riconosciuta stilista.
Oltre al decoro, negli anni è migliorata anche la professionalità. Antonio ha frequentato la scuola alberghiera di Losanna, una delle più prestigiose del mondo, e ha lavorato quattro anni negli Stati Uniti, acquisendo esperienza nell'hotellerie di lusso: «Oggi qualunque hotel di categoria alta, che sia a Tokyo, a Milano o a Positano, non può prescindere da alcuni standard: servizio efficiente, struttura e pulizia impeccabili, sveltezza nel soddisfare i bisogni del cliente. Si può approvare o meno l'arredo di una camera, ma lo specchio ingranditore per il trucco, in bagno, ci deve essere, senza discussioni. La creatività e l'originalità della singola struttura cominciano solo quando sono stati soddisfatti i parametri globali dell'ospitalità di lusso».
La personalizzazione subentra in un secondo momento nel decoro, nelle divise del personale, nella scelta gastronomica. «La nostra divisa, per esempio, è quella tradizionale di una casa italiana: i camerieri indossano la livrea bianca con i bottoni d'oro, i baristi portano un foulard, bellissimo, disegnato da mia moglie con la sartoria Rubinacci».
Quest’anno è stato inaugurato un nuovo bar con una scultura di Giuseppe Ducrot, e da qualche tempo è iniziato un programma di arte per aggiungere contemporaneità alla collezione di famiglia. Anzi, Antonio, con l’aiuto di una curatrice, sceglie due artisti all’anno ai quali commissiona opere specifiche non solo per Le Sirenuse, ma per un luogo al suo interno: «Vorrei creare un percorso che mostri come cambia nel tempo l’interpretazione dell’hotel da parte degli artisti ospiti. Abbiamo da poco installato in salotto la prima opera: un neon a colori di Martin Creed con la scritta “Don't worry”».

In effetti, Le Sirenuse è lo scenario ideale per lasciar da parte le preoccupazioni e abbandonarsi ai piaceri del lieto vivere: i giri in Costiera in motoscafo Riva del ‘72, lezioni di yoga e pilates, una degustazione di vini, la visita a un laboratorio di ceramica, una passeggiata da Arienzo a Nocelle salendo e scendendo 1800 gradini. Tutte esperienze che permettono inoltre di immergersi profondamente nella cultura locale e che - parola di Sersale - «non fanno rimpiangere la mancanza di una spiaggia privata, nonostante le cinque stelle lusso di solito lo pretendano».
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