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Le capsule spingono vendite, know how e immagine

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marketing&ibridazione

Le capsule spingono vendite, know how e immagine

Partnership ma non solo. Quelle che negli ultimi dieci anni hanno visto legarsi top brand della moda ed etichette completamente diverse per background e posizionamento sono la punta dell'iceberg di un'imponente strategia di marketing. Che ha visto nell'ibridazione la chiave per raggiungere un pubblico sempre più ampio dal punto di vista geografico, nella capacità di acquisto e negli interessi.
All'inizio di novembre folle di appassionati di moda, perlopiù giovani, si sono accampati davanti all'ingresso dei flagship store H&M in tutto il mondo, in attesa dell'apertura. La capsule collection realizzata dal colosso svedese in collaborazione con Kenzo è andata sold out in poche ore, così come era accaduto per la linea Balmain X H&M l'anno precedente. Le collaborazioni tra H&M e alcune delle più famose griffe al mondo rappresentano una delle più longeve forme di partnership nella moda: il debutto di questa formula di successo risale al novembre 2004, quando fu lanciata la collezione Karl Lagerfeld X H&M, primo ponte tra top brand e grande pubblico.
Da lì in poi le collaborazioni griffate si sono susseguite in modi e tempi diversi, mantenendo però come valore fondante l'unione tra universi d'acquisto apparentemente agli antipodi: Missoni ha collaborato con Target; Kristina Ti, Aspesi e, meno di un mese fa, Jean Paul Gaultier hanno realizzato capsule collection per Ovs. Qual è lo scopo dei brand che hanno già un proprio pubblico disposto a spendere molto per acquistare un capo o un accessorio prodotto da una casa di moda? «La griffe è, per tradizione, identificata dalla massa come qualcosa di lontano – spiega Cristina Lazzati, direttrice del mensile Mark Up – e queste collaborazioni rappresentano uno strumento utile a raggiungere una clientela più ampia, democratizzando la moda senza però “sporcarla troppo”».
L'idea è quella di permettere a una maggiore varietà di clienti – o potenziali tali – di entrare in contatto con l'immaginario dei grandi brand. «Non è detto che un progetto di questo tipo abbia un reale impatto sulle vendite della griffe – continua Lazzati – ma sicuramente uscire dai propri codici può aiutare il marchio a rafforzare la propria immagine». Oppure, come già detto, può avvicinarlo a un target nuovo, come gli sportivi: da qui le collaborazioni tra Adidas e Stella McCartney, secondo Lazzati «diverse da quelle tra lusso e fast fashion: queste sono uno scambio di know–how». Poi c'è l'obiettivo Millennials, i nati dopo il 1980: «Le aziende hanno capito che per conquistarli devono andare incontro alle loro esigenze. Alcune di loro, per esempio, stanno modificando le proprie strategie commerciali puntando su nuovi canali di vendita». È il caso di Marni, che lo scorso ottobre ha lanciato la collezione #StepIntoMarni in collaborazione con Zalando, reinterpretando i modelli di quattro brand iconici cari alla piattaforma tedesca di e-commerce.
Le collaborazioni possono poi essere un ottimo strumento per dare spazio alla creatività più “fresca”, quella dei giovani designer. Stella Jean, per esempio, ha firmato di recente ben due capsule con altrettanti brand (Marina Rinaldi e Benetton): «È un modo nuovo di creare ponti generazionali tra chi ha costruito la storia della moda italiana e la new wave di giovani creativi», ha detto la stilista.

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