L’industria italiana della moda junior cresce con moderazione, +1,2% il fatturato 2016 che raggiunge 2.721 milioni di euro, trainata ancora una volta dall’export che sfonda, per la prima volta, il tetto del miliardo di euro: secondo le stime di Sistema moda Italia, l’anno scorso le vendite all’estero hanno raggiunto 1.028 milioni, con una crescita del 3,1%.
Un dato positivo, anche se in rallentamento rispetto agli ultimi tre anni, che porta la quota export sul fatturato a sfiorare il 38%: questo significa che negli ultimi cinque anni le aziende italiane che producono moda junior, seppur in larga parte di piccole e piccolissime dimensioni, sono riuscite a incrementare il peso dell’export sui ricavi di 6,5 punti, passando dal 31,3% di fine 2011 al 37,8% stimato da Smi per il 2016. Siamo ancora lontani dai livelli della moda per adulti, ma il processo di internazionalizzazione va avanti, pur tra le difficoltà che spuntano, o permangono, in vari Paesi.
L’osservato speciale resta la Russia, mercato strategico non solo per il segmento neonato, che rallenta la caduta ma ancora non recupera il segno “più”.
Ai buyer stranieri guardano con particolare interesse le aziende presenti al Pitti Bimbo: il salone più importante a livello internazionale per qualità e ricerca si apre giovedì alla Fortezza da Basso di Firenze (fino a sabato) con 503 marchi, di cui 280 in arrivo dall’estero (il 53%), che presentano le collezioni per il prossimo autunno inverno. Attesi quasi settemila compratori, provenienti da una cinquantina di Paesi.
Per le aziende italiane il clima è, tutto sommato, di tenuta. «Nonostante il contesto resti fortemente incerto e complesso – sottolinea Smi – la moda junior dovrebbe mantenere una evoluzione positiva anche nella prima parte del 2017, pur su ritmi sempre moderati».
A consolare c’è la “ripresina”, o meglio l’assestamento, del mercato italiano: i consumi nazionali (famiglie, extra-familiari e scorte), dopo il grande gelo degli ultimi anni, sembrano aver arrestato la caduta (-0,1% a 4.236 milioni nel 2016), con alcuni bimestri che hanno avuto il segno più (come luglio-agosto, +1%). Anche se del rinnovato interesse sul mercato domestico hanno beneficiato, segnala Smi, soprattutto operatori di natura commerciale.
I cambiamenti in atto nei canali distributivi, in effetti, sono sempre più profondi. Il processo di “dimagrimento” del dettaglio indipendente e di espansione delle catene e della distribuzione organizzata sta andando avanti senza sosta. Basta guardare le vendite dell’autunno-inverno 2015-2016: si rafforzano ancora le catene (+3,2%), che ora detengono il 50,9% del mercato; fa boom (+13,2%) la grande distribuzione organizzata che raggiunge una quota del 26,9%; flette ancora il dettaglio indipendente (-16%), relegato al 13,5%. Flessione (-4,8%) anche per l’e-commerce, da imputare essenzialmente al neonato: le vendite online nella moda junior valgono il 2,9% dei consumi complessivi in valore.
Nel segmento 0-7 anni, quello in cui solitamente le famiglie sono disposte a spendere di più, lo strapotere della distribuzione organizzata, intesa come catene monomarca e multimarca, grandi magazzini, iper e supermercati, è ancora più forte: nel 2016, secondo i dati di Sita Ricerca, è arrivata all’82,2% di quota a valore sul totale della spesa delle famiglie italiane. Quattro anni fa era del 72,4%.
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