
Forse non tutti sanno che il più grande scrittore di fantascienza del secolo scorso, Isaac Asimov, era laureato con lode in chimica: per l’intera sua esistenza continuò a coltivare la passione per la biologia, che amava definire la “vera scienza e fantascienza della vita”. Così come forse non tutti sanno che Gabriele Aprea, presidente del Club degli Orafi e laureato proprio in biologia avrebbe voluto dedicare la sua vita alla ricerca scientifica. Da anni invece guida insime alle sorelle Costanza e Maria Elena Chantecler, l’azienda di gioielleria fondata dal padre nel 1947. La cautela con la quale Aprea commenta i dati sull’export italiano di gioielleria del primo trimestre – è lui stesso a dirlo – viene dalla sua formazione. E in parte dal carattere, calmo e riflessivo.
C’è chi si lascerebbe andare a facili entusiasmi: i dati più recenti della sintesi quantitativa curata per Club degli Orafi dalla Direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo sono chiari. Dopo un calo del 4,6% nel 2016, nel periodo gennaio-marzo le esportazioni in valore sono salite del 10,4% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con un vero e proprio boom di Hong Kong (+23,1%), Stati Uniti (+31,4%) e Francia (+45,4%), che sono rispettivamente terzo, quarto e quinto mercato della gioielleria italiana. Da soli assorbono quasi il 30% dell’export complessivo, che nel 2016 era stato di 6,23 miliardi, pari all’81% del fatturato totale (7,78 miliardi, cresciuto del 9,3% rispetto al 2015). «Il valore raggiunto dalle esportazioni nel primo trimestre è rassicurante, non lo nego – spiega Aprea –. Ma il mercato mondiale sta vivendo una grande trasformazione e persino alcuni colossi del settore, specializzati in gioielleria classica, hanno visto calare fatturati e redditività. Per contro, gruppi della gioielleria entry price in argento o in altri metalli non preziosi, hanno raggiunto dimensioni rilevanti e continuano a crescere, anche a doppia cifra».
Secondo il presidente del Club degli Orafi le aziende italiane non devono essere spaventate dal cambiamento, ma studiarlo e agire di conseguenza. L’associazione, come del resto Federorafi, è impegnata a fornire tutti gli strumenti necessari, a cominciare da seminari e convegni. A Milano ad esempio si è appena tenuto l’incontro “L’imperativo della crescita: modelli e risorse a confronto nel mondo del gioielli” (si veda Il Sole 24 Ore del 28 giugno). Le priorità emerse sono la crescita (le 25mila aziende del settore hanno in media tre addetti) e gli investimenti in marketing e comunicazione, hanno spiegato Aprea e gli esperti di Borsa Italiana e Banca Finnat, organizzatori del convegno insieme al Club degli Orafi.
Condizioni necessarie in un mondo globalizzato e caratterizzato da incertezze geopolitiche, oltre che economiche e finanziarie, come sottolinea Stefania Trenti della Direzione Studi e ricerche di Intesa Sanpaolo. «Lo scenario internazionale del 2017 è sicuramente migliore rispetto al deludente 2016. Per le imprese italiane dell’oreficeria non mancheranno quindi le opportunità di crescita sui mercati esteri. Il contesto continuerà però a essere caratterizzato da rischi, in particolare di natura politica. E gli elevati livelli di incertezza – sottolinea Stefania Trenti – dovrebbero continuare a sostenere le quotazioni dei preziosi. Nel 2016 il prezzo dell’oro era cresciuto del 7,9% a 1.127 euro per oncia e nel primo trimestri del 2017 la tendenza è rimasta identica».
Tra i molti dati della Sintesi quantitativa curata dall’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, ricordiamo quelli sui singoli distretti: i primi tre sono Arezzo, Alessandria-Valenza e Vicenza, che da soli, nel 2016, hanno esportato per 4,7 miliardi (oltre il 75% del totale di 6,23 miliardi). I tre distretti hanno iniziato bene l’anno: in confronto ai rispettivi cali del 2016 (-1,8%, -7,5% e -9%), nel primo trimestre l’export di Arezzo è salito del 4,9%, quello di Alessandria del 24,7% e quello di Vicenza del 2,9 per cento.
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