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Progetti green per i tessuti Eurojersey

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sostenibilitÀ

Progetti green per i tessuti Eurojersey

Una sede progettata da Antonio Citterio, ben prima che si diffondesse la pratica di affidare edifici industriali a grandi architetti. Un’azienda nata nel 1960 in un distretto tessile, quello di Varese, all’epoca vivacissimo, poi colpito duramente dalla concorrenza di altri Paesi e dalla globalizzazione. Un direttore generale, Andrea Crespi, poco più che quarantenne ma con l’entusiasmo di un attivista per i diritti sociali e ambientali che ricorda quello dei protagonisti delle rivoluzioni culturali partite dalla California.

Per presentare la Eurojersey di Caronno Pertusella potrebbero bastare questi tre elementi. Ma l’azienda è molto di più e il modo migliore per capire quale piccola grande rivoluzione stia portando avanti, la soluzione migliore è parlare con Andrea Crespi, che ha ereditato dal padre la passione per il tessile e i processi industriali. «Tutto parte dalla fabbrica: prima di diventare direttore generale ho seguito per anni la parte commerciale – racconta l’imprenditore –. Ero quasi sempre in giro per il mondo e mi mancava moltissimo l’atmosfera del nostro stabilimento, la possibilità di girare per i vari reparti e osservare i tessuti che prendono vita per poi toccarli, quando sono ancora caldi, prima di essere piegati, arrotolati, spediti nel mondo».

Rispetto alla generazione precedente di industriali del tessile, Andrea Crespi ha una “magnifica ossessione" per la sostenibilità, ambientale e non solo. La fabbrica del piccolo paese in provincia di Varese – che verrà presto ampliata per migliorare in particolare il ciclo dei rifiuti e degli scarti – si trova a pochi metri da case private, costruite tutt’intorno al perimetro. «Mi preoccupo degli effetti negativi che il modello di sviluppo economico dell’Occidente e le nostre abitudini di consumo hanno in Paesi dall’altra parte del mondo, abitati da persone che non conoscerò mai – dice Crespi –. Come potrei non essere preoccupato per gli effetti che i fumi, le acque reflue, i rumori della nostra fabbrica possono avere sui nostri vicini di casa?».

Eurojersey chiuderà il 2017 con il suo miglior bilancio di sempre: ottima la redditività e fatturato a circa 60 milioni di euro, grazie, di fatto, a un solo tipo di tessuto. E veniamo a un’altra intuizione di Crespi: creare un brand, che sia garanzia per i clienti della moda e per i consumatori finali. Il nome scelto è Sensitive Fabrics e negli anni Eurojersey ha creato diverse varianti del tessuto, adatte in particolare a costumi da bagno, intimo (uno dei maggiori acquirenti è Victoria’s Secret), activewear e abbigliamento: in questo caso tra i clienti più importanti c’è La petite robe di Chiara Boni, uno dei marchi che negli ultimi anni è cresciuto di più. I tessuti sono brevettati e fatti con ricette “segrete” di fibre elastometriche, ovvero fibre sintetiche man made in grado di allungarsi fino a sei volte e ritornare allo stato iniziale.

«Ci sono enormi margini di miglioramento nella qualità dei filati e dei tessuti grazie alla ricerca e, come nel nostro caso, alla verticalizzazione del ciclo produttivo, che comprende tessitura, tintoria, finissaggio e stampa – precisa Crespi –. Ma la sostenibilità di un prodotto finito è questione di filiera: noi possiamo fare bene la nostra parte, ma chi è a monte e soprattutto a valle deve metterci lo stesso impegno culturale ed economico». La filiera è – giustamente – l’altro grande pallino di Crespi, come dimostra la partnership con RadiciGroup per i filati e Herno per creare una giacca “made green in Italy” (si veda anche Moda24 del 10 giugno 2016). «Vorrei che in tanti seguissero questo esempio – conclude –. Io sono disposto a condividere know how ed esperienza».

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