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Lo streetwear contamina il lusso

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Lo streetwear contamina il lusso

Kendall Jenner, tra le influencer più seguite al mondo, indossa la sneaker Arkyn di Adidas
Kendall Jenner, tra le influencer più seguite al mondo, indossa la sneaker Arkyn di Adidas

Il 26 marzo scorso il 38enne Virgil Abloh si è insediato al 22 di Avenue Montaigne, headquarter parigino di Louis Vuitton: la storica maison – attualmente il primo brand del lusso al mondo per valore di mercato – ha scelto un architetto afromericano dall’anima street per la direzione artistica della propria collezione maschile. Un segnale inequivocabile che fa dello streetwear ben più di un trend passeggero pensato per esaudire i desideri di facoltosi Millennials cinesi.

Proprio come la nomina di Demna Gvasalia, già fondatore di Vetements, chiamato nell’ottobre 2015 alla direzione di Balenciaga, quella di Abloh – che per conto suo aveva già fondato un brand, Off White – non è una resa alle logiche commerciali che funzionano meglio, ma l’ammissione che la moda, oggi, vive di contaminazioni forti, apparentemente antitetiche, ma capaci di spingere le vendite proprio grazie a una buona dose di energia “nuova”.

La prima contaminazione vincente è quella che ha portato l’abbigliamento sportivo e casual a colonizzare il guardaroba quotidiano, in nome di una sempre maggiore attenzione verso la comodità e di una minore rigidità dei codici del vestire: «Indossare abbigliamento casual e in qualche caso abiti sportivi è diventato socialmente accettabile in occasioni formali o eventi», spiega Lorna Hennelly, beauty and fashion analyst di Euromonitor International. Secondo le stime della società lo sportswear è un settore da oltre 300 miliardi di dollari, cresciuto del 4% all’anno, in media, negli ultimi cinque anni e pronto a fare anche meglio (+4,2%) da qui al 2022. Il merito va proprio ai nuovi prodotti ibridi: le Speed trainer e le Triple S di Balenciaga, modelli best seller (e sold out) della maison di Kering, che puntano su comfort e carattere ben definiti, strizzando da un lato l’occhio al passato e dall’altro al futuro. Il gruppo guidato da François-Henri Pinault sta decisamente cavalcando l’onda sport-street: ha contaminato lo sport tout court di Puma con l’attitudine street di Rihanna, direttrice creativa dal 2015, e, per la P- E 2018, del marchio danese di streetwear di lusso Han Kjøbenhavn. Al contempo il gruppo ha reso sneaker, felpe e t-shirt elementi chiave della Guccification.

Il luxury casualwear, del resto, è sempre più diffuso. Lo dimostra il report True luxury global consumer insight 2018 di Boston consulting group: dei 12mila consumatori del lusso intervistati dalla società a livello globale, il 48% dice di aver “abbracciato” il casual perché è ormai socialmente accettato in più occasioni, il 31% a causa di una saturazione del formalwear, mentre il 27% perché più confortevole. Non si tratta, peraltro, solo di Millennials: la scelta del casualwear sta contaminando anche le generazioni over 50 e over 60. Qualunque sia la ragione dietro la scelta, secondo il report Bcg gli investimenti in sneaker saliranno del 37% mentre quelli in t-shirt del 35%.

Da qui l’interesse dei big brand, che, per conquistare gli appassionati del genere, si “contaminano” collaborando con i marchi più blasonati dello streetwear. Per l’A-I 2017/18,per esempio, Louis Vuitton aveva lanciato una collaborazione con Supreme, marchio newyorkese fondato a New York nel ’94 e dal luglio 2017 partecipato al 50% dal fondo Carlyle (che avrebbe investito 500 milioni di dollari). Il Monogram 1986 della maison parigina venne stato reinterpretato dal brand americano, fondato nel ’94, e declinato in una serie di capi cult dello streetwear, come la felpa con cappuccio.

Le collaborazioni tra brand del lusso e marchi o artisti street sono apprezzate dal pubblico, a livello trasversale: l ’88% degli intervistati ammette di essere a conoscenza di queste partnership speciali, il 32% (percentuale che sale al 49% nella generazione Z e al 40% tra i Millennials) le considera qualcosa di cool e diverso mentre il 26% qualcosa di unico e speciale. Ma hanno davvero un impatto sulle vendite? Sì, secondo i dati di Bcg. Il 33% degli intervistati, infatti, ammette che tali collaborazioni accrescono l’intenzione ad acquistare la collezione principale del brand.

Quello di Supreme e Vuitton non è stato, ovviamente, un caso isolato: gli esempi spaziano dalla fortunata partnership tra Kanye West e Adidas Originals (le Yeezy 500 “Blush” debutteranno il 14 aprile a 200 dollari al paio) alla collaborazione tra Superga e Highsnobiety. Sugli scaffali degli store Burberry per la P-E 2018 c’è la capsule firmata da Gosha Rubchinskiy. Ora che Riccardo Tisci (da lungo tempo partner di Nike) è stato chiamato a guidare la maison britannica chissà che la svolta sport/street non sia ancor più marcata.

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