Sarebbe il posto ideale per disintossicarsi da internet, perché trovare il wi-fi è una sorta di caccia al tesoro, salvo poi arrivare in una piazzetta dove decine di turisti armati di cellulari e pc parlano e messaggiano. Un’ora di connessione a Cuba costa un cuc (peso convertibile), cioè più di mezza giornata di salario per un lavoratore statale medio. Il problema è che gli hot spot pubblici sono insufficienti, la connessione è piuttosto lenta e affollata, inadatta a chi con internet deve lavorare.
Cuba è questo: un’isola piena di contraddizioni, in bilico tra tentativi di modernizzazione e un passato che, anche dopo la morte di Fidel Castro nel 2016, incombe ancora pesantemente. Il governo mantiene il monopolio quasi totale dei media e la costituzione proibisce i mezzi di comunicazione privati. L’arte viene insegnata e coltivata finché resta nel coro. Nonostante il graduale miglioramento dell’accesso a internet molti blogger, giornalisti indipendenti e artisti sono ancora costretti a lasciare l’isola. Come ha fatto Carlos Garaicoa, artista attivista, classe 1967, che nel 2007 ha scelto Madrid, pur mantendendo la doppia cittadinanza cubana e spagnola. Il suo lavoro è iniziato nell’Habana Vieja, fulcro vitale della città, che rivela i contrasti di un passato coloniale: il programma di restauro dell’Unesco si è arenato lasciando emergere la decadenza di edifici che ricordano i fasti del periodo coloniale.
«L’architettura e lo spazio urbano sono manifestazione dell’ordine sociale: la relazione tra città e individuo mi ha spinto a fare reportage per catturare la decadenza dell’Avana» spiega Garaicoa, che utilizza fotografia, disegno, performance, modelli architettonici, scrittura, scultura e video per raccontare la distanza tra utopia e realtà e il collasso delle ideologie del XX secolo. Poter lavorare in uno studio all’Avana è stato difficilissimo: «Negli anni 90 era un miraggio avere uno spazio, la crisi economica rendeva tutto impossibile. La casa dovevi per forza condividerla con la tua famiglia, anche se si era in tanti».
Dagli studi di termodinamica passando poi all’Instituto Superior de Arte con tre anni di leva obbligatoria, Carlos ha trovato la sua ispirazione nella città natale fotografandola e ricostruendola in modellini come «Birlibirloque (Edificio Neoclásico) / Birlibirloque (Neoclassic Building)» o «Birlibirloque (Hotel San Carlos) / Birlibirloque (San Carlos Hotel)», installazioni del 2018, o negli scatti di «Bestiary» e nei modelli di cristallo di «Project Fragile». «Poi, con mio fratello fotografo abbiamo fatto domanda all’assistenza sociale per una stanza nell’Avana vecchia, e nel 1994 da quel piccolo spazio è nato tutto. Ma senza diploma accademico, perché l’università dopo cinque anni di frequenza chiedeva ancora altri tre mesi di leva per rilasciare il titolo». Carlos non ci sta e i riconoscimenti artistici valgono più del diploma: partecipa nel 1991 alla prima Biennale dell’Avana; a 27 anni, nel 1995, alla residenza a Biel/Bienne in Svizzera e nel 1996 a New York ad Art in General. Poi le mostre si sono susseguite in tutto il mondo, dal Brasile al Sud Africa a Helsinki, ma senza ancora un vero studio. Finalmente nel 1999 un atelier con altri artisti: «Ho cominciato a realizzare sculture di grandi dimensioni e tra il 2000 e il 2001 è nato l’Estudio Carlos Garaicoa, con diverse persone che lavoravano con me».
Ma se lo spazio aveva rappresentato una meta, una volta raggiunta, Carlos si è resoconto che la capitale cubana – prima fonte d’ispirazione poetica da cui emergono le città letterarie di Jorge Luis Borges e i bestiari di Julio Cortázar –, gli stava stretta, non bastava il corteggiamento delle gallerie straniere per respirare la libertà. «Dopo aver visto e conosciuto tanti artisti e tante opere partecipando alla Biennale di Venezia, a Documenta e a molte altre biennali e mostre, mi è sembrato impossibile lavorare a Cuba – prosegue – dove era molto complicato produrre velocemente, le difficoltà erano materiali e politiche e sentivo la pressione. Quando il potere castrista capisce che hai una qualche influenza, allora ti chiede un allineamento, devi essere un artista ufficiale. Altrimenti sei un dissidente. Per me, invece, era chiaro che dovevo cercare un posto dove poter creare liberamente».
Quando un artista ha una rappresentazione internazionale e una galleria che semplifica il suo lavoro, il percorso può essere più facile. «Mia moglie studiava musica a Boston, anche gli Stati Uniti erano un bel posto dove andare, ma volevo guardare dalla stessa distanza Cuba e America, così ho deciso di trasferirmi a Madrid con mia moglie e il nostro primo figlio, che volevo studiasse in Europa. Ho comprato un appartamento e abbiamo deciso di far nascere il nostro secondogenito in Spagna. Oggi ho finalmente il mio studio dove lavoro in Calle Puebla 4 e guardo alla storia cubana e a quella europea del XX secolo osservando le tirannie del passato (nell’opera “Abismo”, ndr) e i rischi per il futuro. A Cuba ho vissuto l’ideologia della parola, in Spagna e in Europa la crisi economica del 2008 e in opere come “Saving the Safe” ho cercato di mostrare il lato debole della democrazia e la necessità di una riflessione sulla storia recente, a partire dal marxismo. Non siamo artisti per fare “disegni interiori”, cerco di lavorare con uno sguardo critico sulla società cubana e sulla storia per cercare di capire ancora oggi cosa può insegnarci, come nell’opera “El Palacio de las Tres Historias”, dove Torino con la sua storia industriale, l’architettura razionalista e il riutilizzo di edifici abbandonati di colpo trascende la sua specificità italiana per diventare una storia generale del XX secolo. E la storia europea diventa una metafora della contemporaneità . Da questa riflessione è nato “Open Studio” nel 2007 all’interno dello Studio Garaicoa di Madrid, già alla 12a edizione, in cui artisti emergenti e consacrati sono riuniti in una mostra in occasione della fiera Arco».
Da sempre intellettuale impegnato, Carlos ha compreso che l’arte crea ponti e ha acquistato, grazie al suo successo e alla liberalizzazione durante gli ultimi anni di Castro, un appartamento in un edificio modernista degli anni 50 nel quartiere di Miramar dell’Avana. Qui ha insediato la fondazione Artista X Artista, piattaforma di supporto alla comunità artistica cubana per scambi di residenze all’estero di giovani emergenti cubani e per ospitare artisti e curatori da luoghi diversi del mondo. «Negli ultimi tre anni è tornata la pressione politica, ma ora siamo indipendenti e abbiamo le risorse (o sappiamo cercarle) per sostenere l’arte cubana nel mondo e per portare l’arte internazionale a Cuba. Non sappiamo quanto resisteremo. Per ora il governo e il ministro della Cultura mi lasciano lavorare, anche perché in fondo sto facendo quello che dovrebbe fare un ministero della Cultura. Qui c’è energia e lo spazio funziona sotto l’ombrello dell’Estudio Carlos Garaicoa di Madrid. Il prossimo passo sarà una fondazione in Europa – sorride Carlos – perché l’arte crea connessioni di senso». Più di internet.
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