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Italia batte Francia sul valore aggiunto nella moda

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Italia batte Francia sul valore aggiunto nella moda

Una previsione di crescita per il 2018 quasi doppia rispetto a quella del Pil italiano. Una “filiera di filiere”, cioè di distretti, unica al mondo e che la Francia, in particolare, rispetta e ci invidia. Soprattutto, un primato da difendere per quanto riguarda l’export e l’alto di gamma. Parliamo del sistema moda e dell’analisi che ne ha fatto, come ogni anno, l’ufficio studi di Intesa Sanpaolo, partendo proprio dai distretti e allargando lo sguardo verso l’Europa e i Paesi extra Ue e delineando punti di forza, criticità e prospettive da qui al 2022.

Il sistema moda come analizzato da Intesa-Sanpaolo comprende tessile, abbigliamento e calzature e nel 2017 ha generato un valore aggiunto di 24,2 miliardi; rappresenta il 10% del manifatturiero del nostro Paese e occupa circa 500mila persone, pari al 15,5% del totale. Per il 2018 si prevede una crescita dell’1,8% ( per il Pil del Paese dovrebbe essere dell’1%) e dell’1,5% per il periodo 2019-2022.

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«I dati sono positivi in sé, ma ancora più buoni se confrontati con quelli degli altri Paesi europei – ha spiegato Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo –. Abbiamo un primato, quello del valore aggiunto generato dal sistema moda nell’Unione europea, pari al 33,9 per cento. Quasi tre volte quello del Regno Unito (12,2% del totale), più di tre volte quello della Germania e della Spagna (10,6% e 8,2%%). La Francia poi è quinta con il 7%: si tratta di gap quasi impossibili da colmare, proprio grazie alla struttura a distretti e alla specializzazione nell’alto di gamma».

Guardando le differenze tra import ed export il primato dell’Italia è schiacciante: nel 2017 la bilancia commerciale del sistema moda è stata positiva per 20 miliardi. Il record negativo in questo caso spetta al Regno Unito (-21 miliardi di saldo), seguito da Germania (-19 miliardi) e Francia (-13,9 miliardi).

Con la globalizzazione e lo spostamento di molte produzioni in Paesi con un costo del lavoro più basso, il tessile-abbigliamento ha sofferto e perso quote di mercato, ma ha saputo riposizionarsi. «Il 70% dell’export, che nel 2017 è arrivato a 51 miliardi, si colloca nell’alta gamma – ha sottolineato De Felice –. Nonostante la concorrenza da parte dei Paesi asiatici, che oggi non avviene più solo sul costo del lavoro ma anche sulla qualità, l’Italia mantiene nel segmento del lusso importanti quote di mercato. Quelle maggiori sono nelle calzature (16% dell’alto di gamma globale è made in Italy) e nelle pelli e pelletteria (21%)».

Oltre che nella filiera complessiva (che in una visione allargata del sistema comprende occhiali, cosmetica e oreficeria), l’unicità del nostro Paese sta nella «forte organizzazione reticolare tipica dei distretti industriali», ha ricordato il capo economista di Intesa Sanpaolo. Un’organizzazione che ha molti vantaggi, a partire dalla capacità di preservare nel tempo le competenze e il know how, industriale e artigianale. Guardando al futuro, c’è un altro punto importante: il legame delle aziende, molte delle quali piccoli e medie, con il loro territorio, che genera in modo quasi naturale un’attenzione alla sostenibilità sociale e ambientale, che De Felice vede come il vantaggio competitivo del futuro.

Un modo di fare impresa che riguarda anche le grandi aziende o “capofiliera”: «Una quota consistente di imprese capofila del sistema moda intervistate per il nostro studio valuta ancora fondamentali il rapporto con subfornitori e terzisti locali, citando la qualità dei servizi e dei prodotti, la possibilità di personalizzarli, la flessibilità, l’affidadabilità e la specializzazione della forza lavoro, che non ha eguali in Asia o nell’Est Europa».

Per mantenere il vantaggio competitivo nell’alta gamma (un segmento per il quale è previsto un incremento di 42 miliardi entro il 2021), il sistema moda italiano deve investire in sostenibilità, qualità e innovazione. «Uso il verbo investire per tutti e tre i campi perché di questo si tratta – ha precisato De Felice –. La sostenibilità è un costo solo nell’immediato; nel breve, medio e lungo periodo è un risparmio, sia dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente sia da quello sociale». La qualità è a tutti gli effetti una conquista della filiera, ma va preservata e sempre migliorata anche perché Paesi come Cina, India e Bangladesh stanno innalzando rapidamente il livello qualitativo delle rispettive produzioni, in particolare di abbigliamento.

«L’innovazione riguarda sia i processi manifatturieri, sia l’utilizzo del digitale e dell’e-commerce B2B e B2C – ha concluso il capo economista di Intesa Sanpaolo –. Vendere online è sempre più importante per raggiungere i mercati esteri: in Europa la percentuale di persone che acquista sul web abbigliamento e articoli sportivi si è quasi triplicata in 10 anni, passando dal 13% del 2008 al 37% del 2017».

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