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Tablet e pc per scrivere? Ma l’antica arte dei cartai resta viva (grazie ai Millennials)

Quando nel 2004 fu inaugurata la biblioteca di Seattle, si pensava che sarebbe stata l’ultimo, grande progetto dedicato ai libri del mondo. A dirlo è stato Rem Koolhaas, il suo ideatore: «Si diceva che i libri sarebbero spariti con la digitalizzazione, ci si chiedeva se nel futuro ci sarebbe stato bisogno di biblioteche - ha detto l’architetto in una recente intervista-. Ma noi abbiamo creduto sempre il contrario. E il tempo ci ha dato ragione».

Per averne conferma bisogna spostarsi in Qatar, dove lo scorso aprile è stato inaugurato un altro progetto dell’architetto olandese, un’altra biblioteca pubblica, edificio “monstre” da 42mila metri quadri di superficie e lungo 138 metri, come due Boeing 747-8. La nuova Qatar National Library di Doha, insieme alla nuova, enorme biblioteca di Tianjin, in Cina, sono monumenti contemporanei ai libri e alla carta, templi dove si celebra la vitalità di questo supporto che sembrava destinato a morte certa, o all’irrilevanza, dal predominio dell’immaterialità imposto dalla rivoluzione digitale.

La modernità di una storia antica

I genitori che in questi giorni accompagnano i figli al primo giorno di scuola primaria, quasi con sorpresa si accorgono che libri e quaderni di carta mantengono ancora saldamente il loro primato su tablet e app. D’altra parte numerosi studi, come quello del 2014 delle università di Princeton e Los Angeles, hanno dimostrato che gli studenti che prendono appunti su carta ricordano meglio le informazioni, riescono a scrivere più parole e a esprimere più idee rispetto ai colleghi che lo fanno digitando su una tastiera. Se lo avesse annusato, il profumo delle cartolerie di settembre avrebbe ispirato a Marcel Proust un’altra “Recherche”.

Anche i numeri del settore confermano questo nuovo amore per la carta: secondo Assocarta, nel 2017 la percentuale di italiani che ritengono la carta «importante» è salita al 54% rispetto al 46,5% del 2016. Lo scorso anno il fatturato dell’industria cartiera italiana (7,41 miliardi di euro) è stato il migliore degli ultimi dieci anni.

Questo mondo fatto di carta di cellulosa è molto giovane. Fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando venne introdotta la pasta di legno, la carta era fatta di stracci di lino, canapa e cotone macerati, ridotti in poltiglia, setacciati e poi distesi a mano. Era il mondo degli “stracciaroli”, delle cartiere nate in montagna, accanto a torrenti impetuosi, spesso in manifatture tessili. Non troppo lontane dalle grandi città, che necessitavano di carta per burocrazia e biblioteche, ma spesso remote e in epoca moderna troppo difficili da raggiungere con camion e bobine. A partire dal secondo Dopoguerra iniziò dunque la strage delle antiche cartiere artigianali italiane. Che però, proprio grazie al recente “paper revival”, stanno iniziando a rimettere in moto le macchine.

Rinascite dal Garda ad Amalfi

«Quando ero bambino mi vietavano di andare a giocare nella Valle delle Cartiere. Era un luogo abbandonato, pericoloso»: Filippo Cantoni è nato 30 anni fa a Toscolano Maderno, comune affacciato sul lato bresciano del lago di Garda. Laureato in scienze forestali, mentre si occupava di fondi europei si è imbattuto nella possibilità di ridar vita a quella valle, dove dal Trecento e fino a un secolo fa si faceva della magnifica carta, amata anche da Ludovico Ariosto e usata dai più importanti tipografi veneziani del Rinascimento. Così, nel 2015 è nata la cartiera Toscolano 1381, che mette in evidenza la data del primo documento ufficiale su carta del “distretto”.

«Un tempo i clienti erano famiglie reali o amministrazioni pubbliche - racconta Filippo -: oggi sono chef, sposi, notai e avvocati, hotel e calligrafi, un popolo questo in costante aumento». Il fatturato di Toscolano, che impiega tre mastri cartai, sui trent’anni anche loro, è raddoppiato nel giro di un anno: «Abbiamo triplicato il prezzo dei nostri prodotti per le nozze, ma nessuno ha protestato - prosegue-. Ora stiamo lavorando a una nuova carta ricavata dai teli usati dai mastri casari del consorzio del Parmigiano Reggiano: diventerà la copertina del menù di uno chef stellato».

Antica come quella di Toscolano, forse anche di più, è la carta di Amalfi, detta anche “bambagina”. Lungo la via delle Cartiere e accanto a un ponte sul fiume Canneto si trova la manifattura della famiglia Amatruda, cognome longobardo appartenuto a generazioni di mastri cartai. «Le nostre prime filigrane risalgono all’epoca degli Angioini, dunque al XV secolo», spiega Antonietta Amatruda, alla guida dell’antica azienda insieme alla sorella Rosa. «La nostra carta fatta a mano viene venduta in tutto il mondo. Certamente è una produzione di nicchia, ma siamo molto soddisfatte dei nostri numeri». Proprio per la sua secolare vitalità, la nuova generazione degli Amatruda si sta già preparando per portarla nel futuro, curando l’e-commerce e la comunicazione sui social.

Nuova passione anche per i bimbi

Grazie al nuovo interesse per queste produzioni artigianali, i mastri cartai sono tornati anche a Pescia, in provincia di Pistoia: lì ad aprile è tornato in vita l’antico marchio Magnani, risalente al 1481, con prodotti fatti nel Museo della Carta locale. Lo stesso è accaduto a Mele, 25 km a ovest di Genova: il Museo aperto nel 1987 nella settecentesca cartiera Piccardo è diventato tre anni fa una piccola manifattura, grazie alla passione di un altro cartaio trentenne, Giuseppe Traverso, molto impegnato anche nella formazione. A Mele si organizzano molti laboratori anche per bambini, che dai 4 anni possono imparare a dar vita al proprio foglio.

Ed è proprio a base di carta uno dei progetti rivolti ai piccoli più interessanti dell’anno, “Papier Machine”, creatura di una start-up parigina: si tratta di un libro di carta (disponibile da ottobre) dal quale staccare componenti per dar vita a piccoli oggetti elettronici, che funzionano grazie all’inchiostro conduttivo. La carta che prende vita, in senso letterale.

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