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Dal Messico alla Mongolia, le nuove frontiere del retail di lusso

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McKinsey Global Institute

Dal Messico alla Mongolia, le nuove frontiere del retail di lusso

In Mongolia, sotto i 2.256 metri della montagna sacra Bogd Han uul, si estende la Nukht Valley, tradizionale meta di vacanze per i più ricchi abitanti di Ulan Bator. Naturale, dunque, che Village @ Nukht, uno dei mall più ambiziosi della capitale asiatica, sorgesse proprio lì, con il suo aspetto da antico villaggio distribuito su 8mila metri quadri. Già otto anni fa Louis Vuitton e Giorgio Armani approdarono a Ulan Bator, un po’ a sorpresa, per aprire le loro prime boutique. «Le aziende del lusso sono fra le più globali - nota Luca Solca, analista di Exane Bnp Paribas, responsabile del settore Luxury goods -, recepiscono cioè ogni segnale dal mondo. Ricordiamo cosa accadde in Iran: poche settimane dopo la notizia della sospensione delle sanzioni, i grandi gruppi vi erano già arrivati in cerca di nuove location per i loro negozi».

La caccia a nuove destinazioni è il cuore della “geopolitica” del retail d’alta gamma. Dopo gli anni del boom della Cina, Paese che comunque resta in cima agli investimenti, ora i marchi stanno studiando altre zone, soprattutto nei cosiddetti “Paesi emergenti”. Che, stando al rapporto “Outperformers” pubblicato dal McKinsey Global Institute a settembre, produrranno il 62% della crescita dei consumi globali entro il 2030. La nuova classe media, sempre più attratta dal lusso, sarà concentrata in 440 città, che insieme potrebbero generare la metà della crescita del Pil globale entro il 2025.

«L’India è uno dei Paesi più interessanti - aggiunge Andrea Squatrito, ceo di Re Analytics, che ha collaborato alla stesura del “Retail Network Monitor” di Exane Bnp Paribas -. La classe media locale è già molto sviluppata (secondo McKinsey nel 2016 era di 35 milioni, contro i 3,4 del 1995, nda). Ma la barriera dei dazi lo rende ancora difficile da penetrare».

Anche il Messico dà segni di sviluppo, come la recente apertura della prima boutique Moncler a Città del Messico: «Il caso di Moncler è quello di un marchio di molto successo ma che deve ancora ampliare la sua distribuzione retail - aggiunge Solca - : pertanto non è detto che scelte del genere preludano a un trend, per quanto il Centro e Sud America e il Canada siano effettivamente più al centro dell’attenzione». L’eterna promessa dell’Africa, invece, sembra ancora lontana dall’avverarsi: «Ci sono stati dei primi passi in Nigeria e Kenya - prosegue l’analista -, ma la clientela del lusso è ancora troppo limitata per favorire investimenti locali. I benestanti viaggiano molto, dunque si preferisce ancora offrire loro le boutique europee. L’Africa si svilupperà nel retail se aumenterà una classe media più stanziale».

Secondo il “Retail Network Monitor”, relativo al primo semestre 2018, la Russia e il Medio Oriente (con Emirati, Arabia Saudita e Qatar) sono le aree che hanno attratto il maggior numero di investimenti, rispettivamente +9,7% e 9% dall’inizio dell’anno.

Come si evolve il retail? Più vie dello shopping, meno centri commerciali

Ma la “star” del semestre è stata la Turchia, Paese con ancora pochi punti vendita di brand del lusso (56 al 30 giugno), ma in aumento del 19%.

Sul fronte dei marchi, spicca la vivacità di Hermès (+3%): «In quanto a numero di negozi finora Hermès era rimasto un passo indietro rispetto ai megabrand - nota Solca -: ora, però, sta beneficiando dell’arrivo di una nuova ondata di clienti che si approcciano per la prima volta al lusso, tramite i marchi più riconoscibili e noti. La fascia di clientela che li precedeva, dunque, si evolve, desidera più esclusività e si avvicina a marchi più sofisticati, come Hermès». Al 30 giugno la maison aveva 313 negozi nel mondo, gli ultimi aperti a Hong Kong, Dubai, Città del Messico e, significativamente, a Palo Alto, dove i guru della Silicon Valley forse stanno iniziando a stancarsi di felpe e sneakers.

Tuttavia, visto che il generale, per quanto debole, rallentamento delle aperture nel mondo, è causato dall’aumento di investimenti nei canali di vendita digitali, ha ancora senso presidiare un’area, una città, con un negozio? «”Esserci” è ancora molto importante, ma forse bisogna cambiare la formula – prosegue l’analista –: il recente proliferare di pop-up store si spiega con la necessità di stupire i clienti e testare nuove idee e mercati. Ma, soprattutto, è necessario proporre negozi che siano distinti l’uno dall’altro. Non bisogna tanto farli più grandi, dunque, ma più rilevanti, sul modello di Palazzo Fendi a Roma o del rinnovato Tiffany a New York».

E poi, il fatto che big del digitale come Farfetch vogliano iniziare ad avere un contatto fisico con i clienti (si veda la collaborazione con Chanel per il progetto “Augmented Retail” lanciato a febbraio), è il segno più rilevante che, ovunque si trovino, i negozi sono e saranno ancora cruciali.

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