
Nelle intenzioni, sono scelte lodevoli e coraggiose, quelle volte a cambiare la cultura aziendale o addirittura la cultura di un settore, sradicando pregiudizi e aprendo testa e cuore a modi di pensare “out of the box”, come dicono gli americani. Ma è anche difficile prevedere fin dove questo percorso possa arrivare o che strade possa prendere.Prada ha annunciato ieri di aver creato un “Diversity and inclusion advisory council”, che sarà presieduto da Ava DuVernay e Theaster Gates (nella foto in alto): la prima è una regista e produttrice cinematografica molto conosciuta e pluripremiata negli Stati Uniti. Il secondo è un artista del quale la Fondazione Prada di Milano ha ospitato una mostra poco tempo fa. Entrambi sono afroamericani. Forse arriverà il giorno in cui a nessuno verrà in mente di aggiungere aggettivi come bianco, nero, asiatico, afroamericano, africano, al nome di una persona. Ma per ora è necessario, specie in questo caso. La mossa di Prada viene spiegata in modo inequivocabile nel comunicato diffuso ieri (disponibile solo in inglese, mentre sarebbe molto utile anche in italiano), dove si legge: “Il Council fornirà consulenza al gruppo per gli investimenti che saranno fatti per supportare talenti diversi e per aumentare le opportunità che gli studenti di colore (of color) nell’industria della moda”. Il Council, si legge ancora, darà un contributo ai processi aziendali e allo stesso collaborerà con altre personalità della cultura e dell’arte, con università e centri di ricerca. E verranno istituite borse di studio e offerti stage negli Stati Uniti e”in tutte le sedi Prada del mondo”.
Gli antefatti del 2019
Parlare di diversità (culturale, di genere, sociale o di qualsiasi altro tipo) e di inclusività è un bene a prescindere. Ma il Council di Prada arriva dopo due fatti di cronaca che non possono essere considerati isolati. Il primo riguarda Spike Lee: sei giorni fa il regista ha pubblicato sul suo profilo Instagram parole minacciose e inequivocabili. “Non indosserò mai più Prada o Gucci finché non assumeranno stilisti neri che siano in quella stanza quando vengono prese le decisioni. È ovvio che quelle persone non hanno la più pallida idea di quando si diventa razzisti attraverso un immaginario di odio nei confronti dei neri. Svegliatevi” (in inglese: I,Spike Lee Of Sound Mind And Body Will No Longer Wear Prada Or Gucci Until They Hire Some Black Designers “ To Be In Da Room When It Happens”. It's Obvious To Da Peoples That They Don't Have A Clue When It Comes To Racist, Blackface Hateful Imagery. WAKE UP. Ya-Dig? Sho-Nuff. And Dat's Da “Coonery And Buffoonery” Truth,Ruth).

Il secondo episodio riguarda proprio Gucci: all’inizio del mese un maglione della collezione autunno-inverno è finito al centro delle critiche su Twitter perché, a dire di alcuni, era un riferimento esplicito al blackface, lo stile di make up teatrale con il quale gli attori bianchi interpretavano i personaggi neri caricaturizzandone i tratti somatici. Non dimentichiamo che febbraio è, negli Stati Uniti, il Black History Month, in cui si cerca, un po’ come accade l’8 marzo per le donne, di ricordare le conquiste fatte verso la parità e i traguardi ancora da raggiungere. Gucci e Alessandro Michele, il direttore creativo, hanno reagito in modo rapidissimo, postando su Twitter messaggi di scuse e ritirando con effetto immediato i maglioni da tutti i negozi del mondo e dalla vendita online. “Gucci si scusa profondamente per le offese recate dal maglione “balaclava” di lana. Confermiamo che il prodotto è stato rimosso dai nostri negozi online e da quelli fisici. Consideriamo la diversità un valore fondamentale che deve essere completamente sostenuto, rispettato e messo all'origine di ogni decisione che prendiamo. Siamo pienamente impegnati a incrementare la diversità nella nostra azienda e a trasformare questo incidente in un potente insegnamento per tutto il team di Gucci”.
L’incidente dei Pradamalia del 2018
Non è un caso se oltre a Gucci Spike Lee abbia citato Prada: in dicembre la scimmietta Otto, parte della linea di gadget da borsetta Pradamalia, aveva ricevuto le stesse accuse (di ispirarsi allo stereotipo dispregiativo del blackface) e per questo fu ritirata dai negozi, dalle vetrine, da internet. Prada fu meno rapida di Gucci a reagire, ci volle qualche giorno per le scuse ufficiali e il ritiro della scimmietta. Però la reazione di medio termine, la creazione del Council, forte, chiara e articolata. Vedremo se altre aziende (della moda e non solo) seguiranno l’esempio di Prada e soprattutto, se davvero chi percepisce di essere considerato diverso o si sente escluso, vedrà migliorare la sua condizione.
© Riproduzione riservata