La maison Ferragamo compie un passo strategico sulla strada della sostenibilità ambientale, e lo fa mettendo in campo una varietà di progetti culturali, artistici e industriali. Il motore dell’operazione è una mostra,
Sustainable Thinking, ospitata al Museo Ferragamo di Firenze (dal 12 aprile) e con appendici al Museo del Novecento e in Palazzo Vecchio, che presenta prodotti ed esperimenti “sostenibili” nel campo
della moda, dell’arte e dell’architettura, e che ha ottenuto la certificazione Iso 20121 (definisce i requisiti per l’organizzazione
sostenibile di eventi). Oltre alla mostra sono previste conferenze, workshop, laboratori, progetti con studenti e capsule
collection.
«Mio padre tanti anni fa, forse senza saperlo, faceva scarpe sostenibili perché credeva nel rispetto dell’ambiente» ha detto
Ferruccio Ferragamo, presidente della maison, riferendosi al padre Salvatore, il “calzolaio” delle dive di Hollywood, durante
la presentazione delle iniziative in Palazzo Feroni Spini, sede dell’azienda. Tra i pezzi in mostra ci sono proprio le scarpe ideate negli anni ’30 e ’40 del Novecento da Salvatore Ferragamo con materiali
naturali e inconsueti come raffia, canapa, feltro, pelle di pesce e con tacchi in sughero. E poi abiti di designer che hanno abbracciato la sostenibilità come Eileen Fisher e Bottletop, opere di artisti come Pascale
Marthine Tayou (che ha realizzato per l’occasione una nube di fumo fatta da cannucce colorate), Joseph Beuys e El Anatsui,
tessuti e filati di nuova generazione come Newlife prodotto da Sinterama fatto con le bottiglie di plastica usate o la seta
riciclata Green Fibers di Felice De Palma.
«Sustainable Thinking non intende tanto presentare una ricognizione esaustiva delle pratiche sostenibili – afferma la maison
– quanto proporre alcune delle esperienze artistiche contemporanee più significative, affiancate alle principali ricerche
in atto nell’ambito del fashion design sostenibile e della ricerca dei materiali».
Intorno alla mostra ruota il coinvolgimento di otto scuole di moda internazionali (Aalto University di Helsinki; Accademia Costume & Moda di Roma; Coconogacco di Tokio; Ied di Milano; London college of fashion
di Londra; Parsons school of fashion di New York; Polimoda di Firenze; Donghua University di Shanghai), i cui studenti sono chiamati a ideare e realizzare (tre progetti per ciascuna scuola) una scarpa, una borsa o un capo di abbigliamento
da donna con la tecnica del patchwork utilizzando materiali di scarto, normalmente destinati allo smaltimento, donati dalla
Salvatore Ferragamo. I prodotti saranno esposti al prossimo Pitti Filati, a fine giugno. Del resto il recupero di materiali di scarto – primi
fra tutti i ritagli di lavorazione della pelle utilizzata per scarpe e borse – è uno dei terreni su cui il gruppo fiorentino
del lusso si è impegnato a lavorare nei prossimi anni, con l’obiettivo di arrivare ad avere “zero scarti”. L’altro terreno
di lavoro e di investimento è quello della ricerca e dell’innovazione sui nuovi materiali, parte del dna aziendale.
È proprio per valorizzare ricerca e dna aziendale che la maison ha lanciato due capsule collection in edizione limitata e già in vendita: una, 42 Degrees, è ideata da due giovani designer della Salvatore Ferragamo, Flavia Corridori e Luciano Dimotta, e comprende una sneaker uomo, una sneaker donna, uno zaino e una shopping bag fatti con pellami conciati senza impiego di cromo e metalli, sottopiede realizzato in fibre organiche, fodere rifinite all’acqua e non in solvente; l’altra capsule riedita cinque modelli di scarpe da donna creati da Salvatore Ferragamo dagli anni Trenta agli anni Cinquanta: un sandalo in canapa grezza, un sabot in feltro verde, un sandalo con tomaia in strisce di cellofan lavorata a uncinetto, uno zoccolo con tomaia di trecce di rafia multicolore, un sandalo formato da nastri di seta multicolore intrecciati fra loro.
Gli stessi intrecci tra discipline che ora vogliono dare una spinta decisa alla sostenibilità nella moda.
© Riproduzione riservata