L’investitura ufficiale sarà giovedì 13 giugno a Bruxelles, in occasione dell’assemblea di Euratex. A guardar bene però Alberto Paccanelli si preparava da anni al ruolo di presidente della Confederazione europea del tessile e dell’abbigliamento che, con 31 associazioni, tra le quali Sistema moda Italia (Smi), rappresenta la voce del settore a Bruxelles. Paccanelli è ceo di Martinelli Ginetto, gruppo bergamasco specializzato in manufatti tessili pregiati per l’arredamento, ma ha già ricoperto incarichi importanti in Smi (è membro del consiglio direttivo) e in Euratex, di cui è stato tesoriere dal 2014 a oggi.
Quanto è importante che Euratex sia presieduta da un italiano?
È molto importante per una ragione altrettanto semplice: l’industria tessile italiana è di gran lunga la più importante d’Europa, vale il 26-27% del totale. Sovranismo, patriottismo, nazionalismo o campanilismo non c’entrano: la filiera italiana è oggettivamente la locomotiva del tessile-abbigliamento europeo, un settore che, nel complesso conta 171mila aziende, 1,7 milioni di lavoratori e vale oltre 50 miliardi di euro in export.
Lei però dovrà rappresentare l’intero treno, non solo la locomotiva.
Certo: è l’industria nel suo complesso a essere motore dell’economia europea. Cercherò di rappresentarla meglio perché in questa fase della globalizzazione è fondamentale che l’Europa sia unita. Nessuna singola industria tessile, per quanto leader, come quella italiana, può avere un futuro a medio-lungo termine se combatte da sola le sue battaglie.
Come è vista la sua nomina dalle associazioni degli altri Paesi?
Sono stati tedeschi e francesi a chiedere a gran voce che fosse un italiano il nuovo presidente di Euratex: rispetto a 5-6 anni fa Germania, Francia e altri Paesi del nord hanno capito quanto sia importante la manifattura per la solidità economica di un Paese e come garanzia di sviluppo.
Quali saranno i temi prioritari per l’Italia e che diventano, con la sua presidenza, prioritari anche per l’Europa?
Sono tre. Il primo è la politica commerciale, che vuol dire soprattutto puntare a un free and fair trade. Il suo opposto, barriere, dazi, tariffe, squilibri, porta a una riduzione del commercio internazionale, lo dice la storia. Poi ci sono ricerca, innovazione e formazione: occorre sostenere la trasformazione digitale e l’industria 4.0, che consenta anche di riportare in Europa produzioni oggi delocalizzate in Paesi a basso costo della manodopera. Per farlo, in parallelo occorre rendere attraente il settore del tessile e dell’abbigliamento, favorendo percorsi formativi e di avvicinamento del mondo scolastico a quello industriale.
E il terzo tema?
Sostenibilità ed economia circolare: oggi ne parlano tutti, noi dobbiamo passare ai fatti e farlo in fretta. Il tessile, dico per semplificare, è la nuova plastica: si sta già discutendo di imporre regole sullo smaltimento dei rifiuti tessili e sulla carbon foot print della nostra industria. Siamo favorevoli a una transizione verso un modello più sostenibile, ma Euratex deve fare in modo che questa transizione sia sostenibile anche per le aziende, specie le Pmi, che altrimenti rischiano di esserne travolte.
È preoccupato dal nuovo assetto del Parlamento europeo?
Sì e no. Nel complesso, l’Italia sarà meno rilevante dal punto di vista politico. Ma con Euratex e l’impegno di singoli parlamentari o associazioni, possiamo essere rilevanti ai tavoli tecnici, nelle commissioni, nelle attività di lobby. In passato il tessile è stato merce di scambio in trattative più ampie. Non deve più succedere.
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