Sfumature di turchesi e azzurri ricordano il mare e il viaggio dei migranti, tessuti africani si intrecciano a cotoni italiani. Con questi elementi, l’associazione LaMin, attiva fra Roma e Messina, cerca di intrecciare culture, storie, mestieri, partendo da una considerazione: le aziende della moda lamentano la mancanza di sarti esperti, professionalità che in altre parti del mondo è ancora abbondante.
Il progetto è di Valentina Guerrera e Manuela Bucciarelli, che nelle due città hanno dato vita a due laboratori di sartoria per migranti, con l’obiettivo di offrire poi tirocini in piccole imprese del settore: Valentina, 32 anni di Messina, è professionista della comunicazione ed esperta di progetti di innovazione sociale; Manuela, 36 anni, romana, lavora in una organizzazione internazionale dove si occupa di progetti di sviluppo rurale, con esperienze in Yemen, Cambogia, Kenia e Malawi. «In Malawi mi sono avvicinata al settore della sartoria e della moda, affascinata dalle stoffe e dai colori africani, e ho lanciato un progetto chiamato Manuka – racconta Manuela - . All’inizio producevamo e vendevamo tessuti per l’arredo realizzati da sarti migranti. Poi è nato LaMin».
Il laboratorio romano si appoggia alla struttura di Casa Scalabrini 634, una sorta di cohousing per famiglie e giovani migranti con diverse attività di formazione e laboratori, con il sostegno di volontari dell’Agenzia Scalabriniana. Grazie al supporto dell'associazione Migranti e Banche, LaMin ha avviato un laboratorio di sartoria.
A Messina, invece, il laboratorio si trova presso il Centro Polifunzionale I'm, che ospita attività sociali per migranti, ha il patrocinio del Comune e ha ricevuto finanziamenti dalla Fondazione Migrantes. Nella città siciliana lo scorso autunno è stata organizzata una piccola sfilata seguita con molto interesse anche da stakeholder del mondo dell'immigrazione. LaMin vuole proprio questo: parlare di immigrazione attraverso la moda. I due laboratori contano al momento quindici partecipanti tra Roma e Messina, dieci sono donne. «Per favorire una vera integrazione ci piacerebbe aprire i corsi anche a italiani di fasce vulnerabili o persone interessate a farsi “contaminare” da culture differenti anche nel lavoro», affermano le fondatrici di LaMin.
Gli abiti sono il risultato di un mix tra stoffe africane, tinture batik, filati di cotone o lino di lavorazione italiana, ma anche tessuti che Manuela Bucciarelli acquista durante viaggi e missioni di lavoro in Africa direttamente da piccole imprese, cooperative di donne, sarti o produttori locali. I modelli sono semplici, la palette di colori ricorda il mare, evoca il viaggio. «Quando compri e indossi un vestito, in edizione limitata, fatto a mano, che è il risultato di una contaminazione di culture e che permette a un ragazzo di formarsi, di lavorare - racconta Fortuna Briguglio, la giovane stilista che segue le collezioni - decidi di investire nella società del futuro. Si sceglie di “essere” progetto LaMin».
Fortuna è messinese, trapiantata a Treviso, con esperienze in Armani, Alberta Ferretti, Benetton e che ha poi deciso di mettersi in proprio con un brand che porta il suo nome: «Ero stanca di vedere commenti sui social come “li rimandino a casa loro”, mi sono documentata anche sui viaggi terribili che fanno i migranti per arrivare qui, e ho sempre pensato che avrei potuto essere anche io con mio figlio su una di quelle barche - racconta la stilista -. Vedo nei ragazzi la stessa speranza che avevo io quando con un treno notturno a diciannove anni ho lasciato la Sicilia per Roma per frequentare l'Accademia di Costume e Moda».
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In Italia, secondo la Cgia di Mestre, il mestiere di sarto è tra i lavori artigiani a rischio estinzione, “a causa delle profonde
trasformazioni tecnologiche che li hanno investiti”. «Quando diventeranno dei professionisti, queste persone avranno buone opportunità di inserimento», aggiunge la creativa.
«I cartamodelli di Babakar sono di altissima qualità», aggiunge Brigulio, riferendosi al sarto senegalese di 24 anni che insegna agli altri ragazzi del laboratorio di Roma. Arrivato a Messina via mare in cerca di lavoro, ha frequentato i laboratori di cucito nella capitale e dopo quattro anni ha presentato le sue creazioni sul palco della sfilata organizzata proprio nella città dove era sbarcato.
Babakar lavora ora presso una maglieria a Roma e vive in una casa condivisa: «Prima o poi sogno di avere una sede mia, dove
lavorare con i miei ragazzi», dice. Tra di loro c'è Chinwendu, una 30enne che comunica in un perfetto inglese e continua a
scusarsi per il suo italiano ancora un po’ incerto: è venuta in Italia per ricongiungersi al marito, nel suo caso con un viaggio
aereo. Spera che aver imparato a lavorare in sartoria la aiuterà ad integrarsi e trovare un lavoro. Da oltre un anno frequenta il laboratorio LaMin: «Mi ha aiutato a conoscere nuove persone e a imparare l'italiano e ora mi
sento quasi a casa».
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