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Questo articolo è stato pubblicato il 22 febbraio 2015 alle ore 08:12.

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IL caSO INGLESE

Il Regno Unito ha già portato la durata media del debito

a 14,6 anni. Nel Sud Europa

il fenomeno è in atto liberando spazi di politica economica

In soldoni, cosa sta cercando di fare la Grecia? Comprare tempo e allungare la scadenza del debito. A dir la verità non è l’unico Paese a giocare questa partita. Sebbene la situazione di Atene dal punto di vista della reputazione sui mercati finanziari sia critica (la curva dei rendimenti è infatti invertita con i titoli a breve che rendono il 20% contro il 10% di quelli a 10 anni) anche altri Stati dell’Eurozona e di altri continenti (come Usa e Giappone) che ormeggiano in acque molto più tranquille hanno in testa, per questo 2015, lo stesso obiettivo: allungare la vita media del debito.

Un obiettivo non da poco perché con un debito lungo si respira di più potendo liberare la politica economica dall’affanno del rinnovo dei prestiti per un lasso di tempo necessario per completare un risanamento. Evitando così di cadere nella trappola in cui è sprofondata la Grecia dove è stato calcolato che, in merito ai due precedenti piani di salvataggio, circa l’80% dei prestiti della Troika (Ue-Fmi-Bce) sia stato utilizzato per ripianare altri debiti delle banche greche e del Paese nei confronti di banche straniere e istituzioni sovranazionali. Così, nell’alambicco dei prestiti internazionali alla Grecia, meno del 20% dei soldi ricevuti a tassi agevolati è stato effettivamente utilizzato per rilanciare la politica economica di Atene attraverso nuova spesa. Allungare il debito, quindi, fa bene a tutti. Sia a chi è messo male (Grecia) ma anche a chi ha rating decisamente migliori. E adesso con il quantitative easing della Banca centrale europea (che da marzo 2015 a settembre 2016 comprerà titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona con scadenza fino a 30 anni per un controvalore di 1.140 miliardi) anche gli altri Paesi della periferia dell’Eurozona (come Italia e Spagna) avranno una grande occasione per spostare più in là l'asticella temporale del debito pubblico. Negli ultimi anni, gli effetti della crisi si sono fatti sentire perché in Italia e Spagna (ma anche in Francia) la durata media del debito si è accorciata (si veda infografica a destra), essendo aumentate le emissioni a breve. In Italia è scesa dai 7,2 anni del 2010 a 6,3 di fine 2014. Anche la Spagna ha “perso quasi un anno”, scivolando da 6,6 a 5,5. In calo anche la durata del debito francese (da 7,1 a 6,7). Mentre il Paese considerato più sicuro dell’area euro, ovvero la Germania, è andato in controtendenza (da 5,9 a 6,5 anni). I dati indicano poi in modo eclatante che i Paesi che hanno usato la cartuccia del quantitative easing (Usa, Giappone e Regno Unito) abbiano approfittato della coperta offerta dalle rispettive banche centrali per aumentare le emissioni a lungo termine allungando la vita del debito.

Ecco perché ci sono tutte le premesse che, con il “qe” della Bce, anche l'area periferica dell'Eurozona riesca a seguire questa scia positiva cogliendo l'opportunità dello schiacciamento dei tassi nominali per intensificare le emissioni a lunga scadenza. Non è un caso che lo scorso autunno la Spagna abbia emesso un bond a 50 anni. E anche l’Italia sta andando in questa direzione: secondo le previsioni di UniCredit research nel 2015 il Tesoro raddoppierà il controvalore di nuovi titoli a 30 anni (da 7 a 13 miliardi) e a 10 anni (da 40 a 45) mentre ridurrà gli importi per i titoli a 3 anni (da 38 a 32) e a 5 anni (da 47 a 44). Allo stesso tempo dovrebbe essere dimezzata la quota richiesta di BTp Italia (titoli a 6 anni indicizzati all’inflazione italiana). Il vantaggio per le casse del Tesoro sarebbe doppio qualora l'inflazione dovesse normalizzarsi intorno al 2% (rispetto al -0,6% attuale), riducendo il costo reale del debito anche sul lungo periodo.

«Il quantitative easing con acquisto da parte della Bce di titoli fino a 30 anni porta a un aumento della domanda per i titoli con scadenze extra lunghe. Questo permette ai Paesi dell'area euro di allungare la durata media del debito - spiega Chiara Cremonesi, fixed income strategist di UniCredit -. Sia chiaro, allungare in modo importante la vita media del debito richiede tempo, ma il 2015 si pone come un anno particolarmente favorevole. I primi effetti si iniziano già a vedere dato che a gennaio 2015 la durata media del debito è cresciuta a 6,39 anni». La strada quindi pare avviata per tornare in direzione dei 7 anni e magari, considerato che il «qe» proseguirà anche nel 2016, puntare a superare tale soglia. Resta un miraggio il Regno Unito che ha portato la durata media del debito a 14,6 anni e, da questo punto di vista, è un caso scolastico.

.@vitolops

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