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È testa a testa Netanyahu-Herzog

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È testa a testa Netanyahu-Herzog

  • –Ugo Tramballi

TEL AVIV

Un testa a testa fra i due principali partiti, più di quanto le ultime ore prima del risultato avessero suggerito. Israele è in bilico: diviso quasi matematicamente fra destra e sinistra, tribalismo e laicità, l’istinto di chiudersi nella sua fortezza armata e il desiderio di una soluzione del conflitto con i palestinesi.

Il Likud è in testa con 28 seggi su 120 e Bibi Netanyahu ha già dichiarato la sua «grande vittoria»; seconda la lista dei sionisti uniti di Isaac Herzog e Tzipi Livni, 27. Ma secondo altri conteggi i due partiti sono 27 a 27. Terzo con 13 mandati è la Lista comune dei partiti arabi: è un avvenimento senza precedenti e carico di conseguenze per la storia politica d’Israele. Quarto Yesh Atid, il partito di centro e della classe media, 12 seggi. Sono solo gli exit poll, diffusi tradizionalmente da Channel 2 alla chiusura dei seggi e, da alcune elezioni, abbastanza accurati. Lo spoglio dei voti reali sarà lungo. Il risultato finale potrebbe essere proclamato solo venerdì. E, dice Herzog, tutto è possibile fino a quel momento: «Il risultato porta il labour al potere in un governo di vera riconciliazione».

Forse i laburisti riprenderanno la testa ma si tratterà comunque di minori percentuali di voto e sempre di uno o due seggi di scarto. Ciò che suggerisce l’exit poll è una paralisi del sistema: la via d’uscita è un governo di unità nazionale già proposto dal presidente della Repubblica Reuven Rivlin, fra due fronti dalle visioni opposte su tutto; oppure nuove elezioni, probabilmente inutili come queste. Se nessuno riuscirà a formare una maggioranza, la legge dice che si rivota a settembre.

Nel sistema elettorale israeliano nessuno vince mai con estrema chiarezza e chi apparentemente è lo sconfitto può sempre risorgere in una vittoria insperata. Il meccanismo proporzionale per la prima volta è stato relativamente mitigato da una soglia di accesso alla Knesset al 3,25%. Le grandi vittime del sistema sono in realtà i due principali partiti, laburisti e Likud. Nessuno in Israele ha mai potuto governare da solo ma sinistra e destra arrivavano attorno ai 40 seggi ciascuno, su 120. Dal 1999, nemmeno governando insieme raggiungerebbero la maggioranza necessaria. Hanno crescentemente bisogno dei partiti minori, come dimostrano gli exit poll di ieri sera. Gli israeliani continuano a cercare surrogati, partiti che rappresentino interessi più “tribali” che nazionali: della borghesia urbana, dei coloni, dei religiosi, di un gruppo etnico.

Il protagonista di una giornata che avrebbe dovuto essere di voto e di silenzio, è stato Bibi Netanyahu, partito da sondaggi sfavorevoli che davano il Likud quattro seggi sotto i sionisti uniti. Prima ha dato l’allarme su tutti i mezzi mediatici a disposizione: «La destra è in pericolo, un’ondata di arabi alle urne». Si riferiva alla Lista comune nella quale sono confluiti i quattro partiti storici degli arabi d’Israele, i palestinesi che settant’anni fa non fuggirono né furono cacciati dalle loro case.

«Un primo ministro bugiardo, divisivo e provocatore», è stato il commento di Isaac Herzog. Paura, pericolo, razzismo sono state le armi di tutta la campagna di Bibi per mobilitare il fronte dell’ebraismo più populista. Per colmare il gap con i laburisti, ha convinto Naftali Bennet del partito della “casa degli ebrei”, a destra del Likud, perché dirottasse una parte dei suoi voti su Netanyahu. Non contento, ha tentato di convocare una conferenza stampa che la legge vieta nelle ore del voto. Quando i giudici sono intervenuti per impedirlo, Netanyahu ha denunciato una non meglio precisata cospirazione contro di lui. L’altro ieri aveva anche accusato i laburisti di essere finanziati da un’oscura lobby straniera.

Netanyahu assomiglia sempre più al generale al-Sisi e a Vladimir Putin. E lo sarà ancora di più in caso di vittoria, dopo lo spoglio finale: diventerebbe primo ministro per la quarta volta, un record in Israele. Il canto tradizionale della base del Likud, “Bibi re d’Israele”, era particolarmente appropriato durante la campagna.

Ed è stato ancora Netanyahu a trasformare le elezioni del 2015, che dovevano essere principalmente dedicate ai temi economici, in un pericoloso spartiacque politico regionale. «Penso che chiunque agisca per stabilire uno Stato palestinese ed evacuare i territori, consegnerà quei territori agli attacchi dei radicali islamisti contro Israele», aveva detto Bibi a un sito d’informazione che appartiene al suo principale finanziatore americano. «Se vinco non ci sarà uno Stato palestinese». Un programma così, radicalmente opposto a quello di Isaac Herzog, scava un solco profondo e irreparabile con l’amministrazione americana di Barack Obama e con l’intera comunità internazionale.

I palestinesi - quelli dei territori occupati, non i palestinesi d’Israele che in questo voto hanno un ruolo da protagonisti - sono i convitati di pietra di ogni elezione israeliana. Durante la campagna, la polizia dell’Autorità palestinese aveva arrestato in Cisgiordania una cinquantina di estremisti di Hamas, per impedire attentati che sarebbero elettoralmente serviti a Netanyahu. Sono 2,5 milioni i palestinesi in età di voto che hanno compiuto almeno 18 anni. Ogni volta il loro destino è determinato da 5,9 milioni di elettori israeliani più che da Abu Mazen a Ramallah o dai fondamentalisti di Gaza.

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I DUE FRONTI

Un referendum su «Bibi»

Il voto di ieri in Israele è stato, per diverse ragioni, una sorta di referendum su Benjamin Netanyahu, 65 anni, in cerca di un quarto mandato. Netanyahu ha concentrato la propria campagna elettorale sulle minacce costituite dal programma nucleare iraniano e dall’Islam militante. Negli ultimi giorni prima del voto Netanyahu ha intensificato gli sforzi nei confronti degli elettori nazionalisti di destra, promettendo nuovi insediamenti ebraici e negando ogni possibilità, in caso di vittoria del Likud, a uno Stato palestinese.

La sorpresa Herzog

Le speranze dei partiti di centro-sinistra raccolti attorno ai laburisti di Isaac Herzog nascono dalla stanchezza di molti israeliani nei confronti dei messaggi di Netanyahu, a vantaggio dei temi su cui Herzog ha puntato la propria campagna: questioni sociali ed economiche, in particolare l’aumento del costo della vita e della casa. Gli ultimi sondaggi d’opinione, pubblicati il 13 marzo scorso, davano l’Unione sionista in vantaggio a sorpresa sul Likud di quattro seggi: ma l’aritmetica gioca a favore di Netanyahu, che ha maggiori possibilità di formare una coalizione.