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Dietrofront di Netanyahu

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Dietrofront di Netanyahu

  • –Ugo Tramballi

GERUSALEMME

Gli americani lo chiamano flip-flop. Dopo aver promesso da candidato che uno Stato palestinese non nascerà, alle prime due interviste da premier rieletto - alle tv americane Msnbc e Fox News - Bibi Netanyahu ha corretto il tiro: «Non ho cambiato politica, voglio una soluzione sostenibile di due Stati», Israele e Palestina. «Ma le circostanze sono cambiate». Non solleva speranze negli israeliani di centro e di sinistra, e incrina quelle dei suoi, a destra.

Un paio di mesi fa gli emissari di Isaac Herzog e Tzipi Livni si erano incontrati con quelli di Abu Mazen per discutere sulle prospettive del processo di pace. Alla fine di un negoziato informale i due leader dell’Unione sionista e il presidente dell’Autorità palestinese avevano trovato l’accordo su tutto: frontiere, Gerusalemme, colonie ebraiche, profughi palestinesi. Si decise di mantenere gli incontri segreti perché, temevano i laburisti, non sarebbe stato vantaggioso sollevare la questione palestinese durante la campagna elettorale. In caso di vittoria Herzog sarebbe andato immediatamente dal presidente al-Sisi al Cairo e da re Abdullah ad Amman per coinvolgerli nel negoziato. La ripresa della trattativa, interrotta da un anno, sarebbe stata uno dei primi atti del nuovo governo israeliano.

Ha vinto Netanyahu e il lungo cammino del processo di pace ha perso un’altra grande occasione. «Le dichiarazioni di Netanyahu contro la soluzione dei due Stati - diceva ieri Abu Mazen poco prima dell’ambigua correzione di Bibi - sono la prova che non c’è serietà nel nuovo governo israeliano». Cosa faranno gli americani? Nel tempo che resta alla presidenza di Obama - che intanto ieri sera ha telefonato al premier israeliano congratulandosi per il successo - quanto importante è rimettere in moto questo negoziato di un Medio Oriente pieno di altri problemi?

«La premessa della nostra posizione è sostenere negoziati diretti - spiega al New York Times una personalità “senior” dell’Amministrazione -. Ora siamo in una realtà nella quale il governo israeliano non li sostiene più. Quindi, dovremo chiaramente tenerne conto nelle nostre decisioni, d’ora in avanti». Difficilmente il mezzo salto mortale di Bibi spingerà gli americani a dichiarazioni meno minacciose. Pende al Consiglio di Sicurezza dell’Onu una risoluzione importante. Quando c’è di mezzo Israele, gli Stati Uniti usano sempre il loro potere di veto ma questa volta potrebbero non usarlo. Anche perché quella risoluzione è americana.

Come Isaac Herzog e Tzipi Livni, gli Stati Uniti avevano un nuovo piano, congelato fino alle elezioni israeliane, confidando illusoriamente anche loro in un buon risultato. Nel solco del precedente tentativo di John Kerry, l’obiettivo era un accordo preliminare sul punto d’arrivo del negoziato, la soluzione permanente: le frontiere del 1967 come punto di riferimento di necessari scambi territoriali, Gerusalemme capitale di due Stati, annessione e ritiro delle colonie ebraiche, modalità del ritorno dei profughi palestinesi, garanzie sulla sicurezza israeliana nella valle del Giordano. Stabilito questo, si sarebbe negoziato sulle singole questioni per un periodo dato.

In realtà niente di veramente inedito nel più che ventennale cammino del processo di pace. La novità è che gli obiettivi e tutto il resto dovrebbero essere fissati in una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Non più le storiche, generiche, controverse e inutili 242 e 338, ma una nuova che fissa processo e obiettivi in un quadro concordato e rinnovato. E questa volta gli americani voteranno a favore.

È la risposta alle ambiguità di Netanyahu ma anche il bisogno d’impedire che i palestinesi complichino le cose già difficili. Senza un interlocutore israeliano e avendo rinunciato alla violenza, all’Autorità palestinese è rimasta solo l’”Intifada diplomatica”. Nella sua condizione di Stato osservatore permanente, l’Autorità può entrare nelle agenzie Onu. Gli Stati Uniti hanno minacciato di sospendere il finanziamento a qualsiasi agenzia che ammetta i palestinesi. Ma il primo aprile l’Autorità entrerà nella Corte penale internazionale nella quale può chiedere l’incriminazione d'’sraele. Gli Usa non lo possono impedire perché non aderiscono alla Corte.

Alla fine dell’anno scorso, quando i palestinesi avevano presentato la loro richiesta, Netanyahu aveva congelato il versamento delle tasse – dogane, Iva, bollette – che Israele riscuote per conto dei palestinesi. Sono più di 300 milioni necessari per pagare gli stipendi. Il pericolo è che dopo il primo aprile Netanyahu dia una dimostrazione della svolta a destra. Ma a Gerusalemme c’è chi fa notare che Bibi non ha solo travolto la sinistra: ha anche ridimensionato i nazionalisti a destra del Likud. Nel nuovo parlamento ci sono meno coloni e il partito nazionalista di Naftali Bennett ha perso 4 seggi. Spiegando che il premier sarà diverso – ma non così diverso - dal tribuno elettorale, il suo ex consigliere Uzi Arad dice che Bibi mostrerà un nuovo «pragmatismo muscoloso».

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RAPPORTI DA RICUCIRE

Le aperture di Netanyahu

Il premier israeliano, vincitore delle elezioni, dopo aver promesso da candidato che uno Stato palestinese non nascerà, in due interviste alle tv americane ieri ha corretto parzialmente il tiro. Alla Fox News ha dichiarato di ritenere possibile che uno Stato palestinese possa nascere, a condizione che sia smilitarizzato e che riconosca lo Stato di Israele. Ha aggiunto però di non ritenere fattibile oggi la cosa per il rischio che lo Stato islamico e gruppi militanti sostenuti dall’Iran assumano il controllo della nuova entità statale. Toni più morbidi anche alla Nbc, dove Netanyahu ha anche aggiunto che l’«America non ha più grande alleato di Israele e Israele non ha maggiore alleato degli Stati Uniti»

La telefonata di Obama

All’amministrazione Obama la parziale marcia indietro non basta: il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest, pur sottolineando che «le parole contano» ha detto che Netanyahu e il suo governo dovranno chiarire quale sarà la loro posizione su una soluzione con due Stati. Ieri sera intanto è arrivata la telefonata di congratulazioni di Barack Obama a Netanyahu, che nelle ore successive alla vittoria
non c’era stata