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Quell’embargo che schiaccia l’economia

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Quell’embargo che schiaccia l’economia

  • –Roberto Bongiorni

Tra l’accordo quadro raggiunto giovedì a Losanna e la parola fine al controverso dossier nucleare ci sono ancora tre mesi. Un arco di tempo in cui potrebbe accadere di tutto. Eppure agli occhi di molti iraniani è come se il 30 giugno fosse già oggi. La speranza che siano rimosse la sanzioni internazionali, il cui effetto è stato di aver messo in ginocchio la 18esima economia mondiale - 78 milioni di abitanti per un Pil di 380-400 miliardi di dollari – ha preso il sopravvento sulla prudenza.

L’euforia ha contagiato anche diversi business di Teheran, convinti che, una volta venute meno le sanzioni sul sistema bancario e sulle transazioni, i depositi e le somme bloccate all’estero torneranno in Iran, favorendo una maggiore circolazione di denaro e più liquidità a disposizione. Premesse necessarie per far ripartire consumi e investimenti.

L’impatto delle sanzioni c’è stato. La recessione del 2012 (-6%) e quella del 2013 (-1,7%) lo confermano. Seppur in misura inferiore rispetto ai vicini Paesi arabi membri dell’Opec (alcuni dei quali ricavano dalle vendite di petrolio il 95% dell’export e il l’80-90% delle entrate governative), l’Iran resta comunque esposto alle variazioni del prezzo del greggio. Già in difficoltà per le sanzioni americane (e per la successiva riduzione delle importazioni da Cina, Giappone e India su pressione di Washington), l’embargo petrolifero europeo, scattato il 1° luglio del 2012, ha inferto un colpo durissimo al Paese. Le vendite di greggio dell’Iran, nel 2011 terzo esportatore mondiale con 2,5 milioni di barili al giorno (mbg), sono crollate, precipitando nel maggio del 2013 a 700mila barili/giorno, e restando comunque su una media di 1-1,1 mbg fino a pochi mesi fa. L’emorragia per le casse iraniane è stata di oltre cinque miliardi di dollari ogni mese.

Già pochi mesi dopo l’embargo petrolifero gli indici macroeconomici avevano subito una decisa inversione di rotta. Con l’inflazione schizzata al 40%, la disoccupazione vicina al 30% in un Paese dove metà dalla popolazione ha meno di 30 anni e ogni anno 750mila giovani si affacciano sul mercato del lavoro. La svalutazione del rial è stata poi un shock. All’inizio di ottobre del 2012, in una sola settimana la valuta locale aveva ceduto il 40% sul dollaro. Nel 2011 erano necessari 13mila rial per acquistare un dollaro. A fine 2012, sul mercato libero, ne servivano 37.500. Nemmeno la Borsa di Teheran, andata controcorrente con performance tra le migliori al mondo, alla fine ha accusato il colpo. Dopo esser cresciuta del 131% nel 2013, l’anno scorso ha registrato una flessione del 21 per cento.

Quanto al settore manifatturiero, soprattutto quello automobilistico, la crisi è stata disastrosa. Certo, Teheran non è mai stata Detroit, ma nel 2011 la sua industria automobilistica era capace di sfornare 1,76 milioni di veicoli. Due anni dopo ne produceva meno di un milione. Questo era l’Iran sotto l’embargo petrolifero e finanziario.

Eletto presidente nel giugno 2013, Hassan Rohani ha cercato di invertire la rotta. E qualche successo è giusto riconoscerglielo. Grazie all’accordo provvisorio sul nucleare raggiunto l’ottobre successivo alla sua elezione, e a un parziale alleggerimento delle sanzioni, ma anche grazie ai decisi tagli della spesa pubblica e al coraggioso ridimensionamento dei sussidi (una zavorra sui conti pubblici iraniani), il pragmatico mullah è stato capace di far uscire la Repubblica islamica dalla recessione (nel 2014 il Pil è cresciuto del 1,2%-1,4%), a ridurre l’inflazione portandola dal 45% del 2013 al 15.

Se le sanzioni dovessero essere rimosse, l’Agenzia internazionale dell’Energia ritiene che l’Iran, Paese che possiede le terze riserve mondiali di greggio convenzionale, potrebbe aumentare la produzione di 800mila barili al giorno in soli tre mesi. Altro punto favorevole sarebbe il recupero delle riserve in valuta pregiata congelate sui conti esteri. Verso la fine del 2013 erano stimate in 100 miliardi di dollari, ma di queste solo 20 miliardi erano accessibili. Sarà poi necessario rimuovere i maggiori ostacoli all’economia; intervenire contro l’arretratezza del processo di privatizzazione delle industrie, lottare contro la corruzione e il contrabbando. Il rilancio dell’industria energetica, in condizioni ormai fatiscenti, e lo sviluppo dei giganteschi giacimenti di gas naturale, richiederebbero inoltre investimenti per 200 miliardi di dollari. Ma per gli investitori stranieri l’Iran resta un paese con grandi potenzialità, peraltro in diversi settori. Nonostante le difficoltà a causa dell’embargo, le imprese italiane hanno continuato a lavorarci. Nel 2014 l’interscambio tra i due paesi si è attestato a 1,6 miliardi di dollari. Prima dell’embargo si aggirava sui 7 miliardi. Sempre lo scorso anno la Germania è riuscita persino ad accrescere il suo export verso l’Iran del 30 per cento. In un Iran senza sanzioni, la concorrenza sarà tuttavia più serrata.

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