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Spagna, 500mila posti in un anno

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Spagna, 500mila posti in un anno

  • –Luca Veronese

Nell’ultimo anno l’economia spagnola ha creato 500mila nuovi posti di lavoro. Ma nonostante la ripresa si vada rafforzando portando miglioramenti sull’occupazione, il premier Mariano Rajoy sembra destinato alla sconfitta nelle elezioni che si terranno a novembre.

In Spagna ci sono ancora 5,4 milioni di disoccupati su un totale di neanche 47 milioni di abitanti. Ed è sempre fortissima la sensazione di precarietà e disillusione lasciata da cinque anni di recessione. Gli analisti spiegano che il peggio è passato, che dopo aver sfiorato il default a metà del 2011, il Paese con la guida del governo conservatore di Rajoy, si sta riprendendo. Gli indicatori macroeconomici, tuttavia, tardano a farsi sentire nelle famiglie. Il tasso di disoccupazione è al 23,7%, lontano dai massimi di fine 2012, ma è aumentato leggermente nei primi tre mesi del 2015 rispetto alla fine del 2014, a testimoniare che l’emergenza sociale è tutt’altro che superata. «Il primo trimestre è usualmente difficile per l’occupazione in Spagna ma i dati anno su anno mostrano che la creazione di nuovi posti è stata notevole», dice Estefania Ponte, di Bnp Paribas da Madrid. Di parere diverso Luis Martinez, analista di Citi nella capitale iberica: «Il risultato del primo trimestre non è negativo ma è sotto le aspettative. Con l’economia in crescita del 3% - dice - le ricadute sull’occupazione dovrebbero essere più significative».

Le stime sul Pil vengono continuamente riviste al rialzo, l’economia spagnola è al secondo anno di ripresa ed è la più dinamica dell’Eurozona: i dati ufficiali, ma forse troppo prudenti, della Banca centrale indicano per quest’anno una crescita del 2,8 per cento. In molti scommettono su una variazione superiore al 3 per cento. Eppure i tempi della ripresa economica non sempre vanno d’accordo con i tempi della politica, ancor meno con le esigenze del consenso, con il voto da conquistare.

Rajoy per gli spagnoli impersona l’austerity. È il premier che ha chiesto aiuto all’Unione europea per salvare le banche, accettando, senza saltare una riga, il dettato della troika. È il politico che ha stretto tutte le mani in una stagione spazzata via dalla crisi: a cominciare da quella di Rodrigo Rato, già ministro negli esecutivi popolari di José Maria Aznar e direttore generale del Fondo monetario internazionale, ora travolto dagli scandali di corruzione. Da sinistra Rajoy subisce gli attacchi tradizionali dei socialisti e le nuove bordate di Podemos, il movimento anti-casta e anti-sistema che ha raccolto l’eredità della protesta portata in piazza dagli Indignados e che con Pablo Iglesias è cresciuto fino a diventare un candidato al governo, almeno di coalizione, seguendo il percorso dei cugini di Syriza in Grecia. Ma i popolari di Rajoy devono vedersela anche con Ciudadanos, il movimento di ispirazione liberale nato in Catalogna per iniziativa di Albert Rivera in opposizione alle spinte separatiste della regione, e che sfida i conservatori sul loro stesso terreno, con un’energia che i partiti tradizionali hanno smarrito da tempo.

I dati sul lavoro mostrano inoltre che i contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno stanno recuperando terreno sui contratti a termine e sui part-time. «La traiettoria di crescita dell’occupazione è chiara ma rimane il problema di quali posti vengono creati e la situazione dei giovani è ancora insostenibile», afferma Raj Badiani, economista di Ihs. Rajoy rivendica i risultati raggiunti con la riforma del mercato del lavoro e della contrattazione: le nuove regole, introdotte, spingendo sulla flessibilità in uscita, hanno dato fiato alle imprese e hanno permesso all’economia di ripartire. Ma a quale costo, almeno nel breve periodo? «Il calo della disoccupazione - dice Antonio Barroso, di Teneo Intelligence - è un fattore determinante nella strategia di Rajoy. Senza miglioramenti più significativi, la sfida di Rajoy per la rielezione si fa davvero difficile».

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