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Questo articolo è stato pubblicato il 07 maggio 2015 alle ore 06:36.

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Il Parlamento greco ha approvato una legge che cancella con un colpo di spugna parte della riforma della pubblica amministrazione varata dai tre precedenti esecutivi: quello di sinistra di Giorgos Papandreou, quello del tecnico Lucas Papademos, ex vice presidente della Bce, e infine quello del conservatore Antonis Samaras. Il provvedimento porterà alla riassunzione di ben 13mila dipendenti statali che avevano perso il posto a causa delle misure di austerità poste come condizione dei prestiti ricevuto da Atene. Syriza mantiene gli impegni elettorali, ma dimentica di dire con quali soldi finanzierà gli impegni presi in Parlamento.

Secondo Kyriakos Mitsokatis, il ministro del governo di centro-destra di Antonis Samaras che si occupò da ultimo dei dolorosi tagli agli statali, la legge varata da Syriza è un ritorno alle vecchie pratiche clientelari.

Mitsotakis, rappresentante di una dinastia politica di prima grandezza in Grecia, ha ricordato che tra il 2009, al 2014, il numero dei funzionari era passato da 920mila a 640mila. Oggi tutto questa lavoro rischia di essere vanificato. La crisi greca ha dimostrato che non ci sono innocenti: non lo sono i politici locali né i creditori internazionali che non hanno saputo affrontare la crisi nel modo corretto se è vero come ha appena annunciato nelle stime di primavera la stessa Commissione europea che la Grecia avrà dopo sette anni quest’anno un debito al 180,2% del Pil mentre doveva essere al 120 per cento.

Che qualcosa sia andato storto non lo nega piùnessuno, e le divergenze tra Fmi e Unione Europea sulla terapia da usare stanno lì a dimostrare che c’è stata quanto meno una carenza di governance. Ora si tratta di trovare un compromesso onorevole per tutti ed evitare che, per risparmiare gli ultimi 7 miliardi, si perdano i restanti 233 miliardi di euro di prestiti già messi sul piatto.

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