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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2015 alle ore 08:11.

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LONDRA

David Cameron, di fianco a Nick Clegg, accanto a Ed Miliband, a due passi da Nicola Sturgeon. Si fa presto a dire democrazia, ma a poche ore dall’esito di elezioni storiche vedere lo stato maggiore della politica britannica sfilare impettito in abito scuro per onorare i caduti, nel giorno della vittoria della seconda guerra mondiale sui campi d’Europa, è una lezione di civiltà. Trionfatori – David Cameron e Nicola Sturgeon – e sconfitti – Nick Clegg ed Ed Miliband già dimissionari dai rispettivi partiti– si sono stretti, nel ricordo, davanti al Paese, dopo essersele suonate oltre ogni immaginazione.

Con un colpo di coda imprevisto da tutti, Londra ha dato al primo ministro uscente la maggioranza assoluta per governare con 331 seggi, spingendo il leader dell’opposizione laburista a quota 232, ventisei meno delle elezioni perdute nel 2010. I liberaldemocratici, junior partner della coalizione uscente, sono stati cancellati: 8 poltrone ai Comuni contro le 57 di cinque anni fa. I nazionalisti scozzesi sono esplosi, moltiplicando il consenso per dieci e spazzando 56 seggi sui 59 a disposizione. Questa è Westminster, il giorno dopo.

Tant’è bastato al premier per bruciare i tempi e cancellare ogni residuo timore di ingovernabilità nonostante il margine parlamentare sia risicato, cinque seggi oltre la metà. Basterà. David Cameron dopo aver incontrato la regina a Buckingham Palace e poco prima di riconfermare mezzo governo – in primis il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne a cui più deve il successo di ieri – s’è rivolto al Paese indicando i passi-chiave che intende muovere. Ha reso l’onore delle armi agli sconfitti, ha accennato a una prossima redistribuzione della ricchezza attraverso nuove forme di welfare, glissando ovviamente sui 12 miliardi di tagli che avrebbe in animo di deliberare. Poi il primo affondo politico, il più temuto, il più grave per il destino britannico. «Faremo come promesso il referendum sull’adesione all’Unione europea», ha scandito davanti a Downing street, tracciando già la prossima trincea.

Una trincea che incrocia l’assetto stesso di un Regno diviso a metà: Tory in Inghilterra, Scottish national party in Scozia e in mezzo a navigare incerti, gallesi e nordirlandesi. Sono le piccole patrie dello United Kingdom che tornano a sbattere. David Cameron reduce dall’incontro con Elisabetta II, sensibilissima al caso scozzese, è stato netto: «Intendiamo dare a Edimburgo il più autonomo governo al mondo, con poteri di imposizione fiscale e con un assetto costituzionale che per essere adeguato dovrà tenere conto anche dell’Inghilterra». L’unica nazione senza parlamento avrà la sua assemblea? Il Regno marcia verso un crescente decentramento fino a immaginarsi federale? Il dibattito occuperà i costituzionalisti, mentre i mercati tirano il fiato, ma già sanno di doverlo trattenere in vista del temuto referendum sull’Ue.

Nigel Farage, fondatore di Ukip, non é stato eletto nel seggio inglese che aveva scelto per il suo debutto a Westminster e ha rassegnato le dimissioni. «Io mantengo le promesse», ha detto, sottolineando però l’ottima performance del suo partito che è stato votato da quasi 4 milioni di elettori, un multiplo di quelli che hanno messo la croce su sui nazionalisti scozzesi. A punire l’Ukip e a premiare Snp è stato il sistema elettorale maggioritario che Farage spera di vedere rapidamente eliminato.

Di teste eccellenti ieri ne sono rotolate molte. Ed Miliband si é assunto la responsabilità per il crollo dei laburisti e ha lasciato la leadership del partito con effetto immediato e fra mille scuse per non essere riuscito a portare il Labour alla vittoria. Miliband ha esortato i sostenitori del partito a «rialzarsi e continuare a combattere per una società più giusta». Difficile immaginare chi potrà sostituirlo, dato che molti pesi massimi del partito sono usciti di scena: sia il cancelliere ombra Ed Balls che il ministro degli Esteri ombra Douglas Alexander hanno perso il loro seggio e non potranno tornare in Parlamento. Il fratello, blairiano, David? Una suggestione che oggi nessuno seriamente raccoglie.

La situazione è analoga fra i liberaldemocratici, quasi eliminati dal Parlamento. Il leader Nick Clegg, eletto di nuovo deputato, ha lasciato la guida del partito al termine di quella che ha definito la «notte crudele e devastante». I suoi più stretti collaboratori, come il ministro del Business uscente Vince Cable e il sottosegretario al Tesoro Danny Alexander, non sono stati rieletti e dovranno lasciare la politica. Il sipario cala con straordinaria rapidità e altrettanta spietatezza su protagonisti divenuti comparse, mentre a Londra è già cominciata la battaglia d’Europa.

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