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Questo articolo è stato pubblicato il 14 maggio 2015 alle ore 06:36.

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La Grecia scivola di nuovo in recessione con due trimestri consecutivi di crescita negativa. Nel primo trimestre il Pil di Atene ha segnato un -0,2% dopo il -0,4% dell’ultimo trimestre del 2014. A pesare è lo stallo dei negoziati con i creditori internazionali che non hanno ancora trovato la via di un compromesso che consenta ad Atene di ottenere i 7,2 miliardi di euro di tranche del prestito ferma da agosto.

Più in dettaglio il Pil greco è sceso dello 0,2% verso i tre mesi precedenti, mentre è cresciuto dello 0,3% su base annuale. Lo ha comunicato l’Ufficio nazionale di statistica Elstat, precisando che su base destagionalizzata l’aumento annuale era pari allo 0,1%. Si tratta del secondo trimestre di fila che segna un Pil in calo su base trimestrale dopo che nell’ottobre-dicembre 2014 l’indicatore era diminuito dello 0,4%. Quindi tecnicamente Atene è in recessione. La Grecia, dopo sei anni, era uscita all’inizio del 2014 da un’altra profonda recessione durata cinque anni, ma il cambio di Governo il 25 gennaio scorso e l’incertezza sulla permanenza di Atene all’interno di Eurolandia hanno appesantito sensibilmente il clima economico del Paese. La Commissione europea, nelle ultime previsioni di primavera, ha sensibilmente rivisto in calo le proprie attese sull’andamento dell’economia greca 2015: da +2,5% a +0,5%.

Intanto i creditori della Grecia, la ex troika, chiedono al governo Tsipras ulteriori tagli alla spesa pubblica per circa 3 miliardi di euro entro fine anno in modo da raggiungere il livello minimo di bilancio richiesto. I tagli dovrebbero portare il surplus primario appena sopra l’1% del Pil nel 2015, un livello che il ministro dell’Interno greco Nikos Voutsis ha definito «accettabile». Senza nuove misure - stimano le fonti - la Grecia chiuderebbe il 2015 con un deficit/Pil attorno allo 0,5%. Il precedente accordo prevedeva un surplus del 4,5% nel 2015, una stima che oggi appare impraticabile.

Che la situazione si faccia sempre più precaria ad Atene è un fatto ormai acclarato al punto che il ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis si è sentito in dovere di intervenire per placare le acque. «Non esiste una soluzione Mayer per l’introduzione della doppia moneta in Grecia. C’è soltanto una soluzione politica», ha dichirato ieri ad Atene il ministro e ha aggiunto che «in un negoziato vi sono compromessi reciproci». La cosiddetta “soluzione Mayer”, ovvero l’introduzione di una doppia moneta (euro e geuro) in Grecia prende il nome dall’americano Thomas Mayer, ex capo economista di Deutsche Bank, il quale per primo aveva prospettato questa ipotesi.

E come al solito è giunta la bordata tedesca. Ieri è stata la volta del Diw. Per il presidente dell’istituto economico tedesco Diw, Marcel Fratzscher, il rischio di uno scenario del genere oggi esiste, e per lui è «al 25%». Un’opzione simile avrebbe un impatto negativo anche sull’Italia, con un aumento dei tassi sui bond del Belpaese. Fratzscher lo ha spiegato ad alcuni giornalisti italiani in un incontro organizzato dall’ambasciata italiana a Berlino. «Nei mesi scorsi ritenevo che questa opzione fosse assai meno probabile - ha spiegato - anche perché con l’elezione del governo Tsipras avevo sperato nella opportunità di un grande cambiamento per il paese e un punto di vera rottura col passato. Ma adesso mi sembra che le logiche siano quelle di sempre. C’è molta voglia di restare al potere anche nel governo di Syriza». Andando avanti, «il rischio aumenta».

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