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Questo articolo è stato pubblicato il 03 giugno 2015 alle ore 06:36.

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La crociata giudiziaria ispirata dagli Stati Uniti per riformare e ripulire dalla “corruzione rampante” i vertici del calcio mondiale ha sortito i suoi effetti, inevitabili e inaspettati al tempo stesso. Joseph Blatter ha provato fino all’ultimo a resistere all’assedio degli scandali esplosi sotto la sua direzione, di pari passo con la trasformazione della Fifa da associazione a impero multimiliardario che governa il più popolare sport del pianeta. Si era anche fatto rieleggere a gran maggioranza, il 79enne Blatter, come se nulla fosse all’indomani degli arresti che a Ginevra avevano decimato i dirigenti dell’organizzazione al cospetto di un atto d’accusa partito proprio da New York e che contiene 14 incriminazioni e 47 imputazioni, da truffa a riciclaggio di denaro e associazione a delinquere. Ma nulla non era affatto: gli americani, oggi ormai una delle nuove patrie del calcio e del suo business, hanno proseguito imperterriti. Hanno preannunciato ulteriori incriminazioni e indagini a tappeto, da reati penali scovati dall’Fbi a irregolarità fiscali inseguite dall’Irs. Una seconda inchiesta svizzera si è delineata sullo sfondo. Gli sponsor, nonostante la delicatezza di marchi da forse cento miliardi di valore intrecciati al pallone, hanno cominciato prendere posizione e a minacciare di farsi da parte. Altrettanto hanno fatto i leader nello sport e nella politica, con l’inadeguata eccezione del russo Vladimir Putin. E a ritirarsi, alla fine, è stato Blatter, dando il via a una dirompente rivoluzione a soli pochi giorni dalla vittoria di Pirro strappata nell’urna del Congresso Fifa e dopo le dichiarazioni spavalde con le quali aveva paventato ritorsioni contro chi lo attaccava («non dimentico», aveva detto). Quando la sua poltrona, in altre parole, era parsa per il momento più sicura.

La spavalderia non è bastata contro un assedio che si è stretto con il passare delle ore, fino al colpo di grazia: dalle carte delle indagini della procura federale di Brooklyn, quella fino a pochi mesi or sono guidata dall’attuale Ministro della Giustizia Loretta Lynch, sono emerse accuse sempre più vicine a Blatter e ai suoi più fidati collaboratori. I media statunitensi, il «New York Times» e il «Wall Street Journal», hanno riportato che una tangente da dieci milioni per assegnare i mondiali del 2010 al Sudafrica sarebbe stata pagata attraverso un trasferimento di fondi che avrebbe coinvolto il segretario generale della Fifa - e braccio destro del presidente Blatter - Jerome Valcke.

La tangente, secondo le ricostruzioni, era stata promessa dal Sudafrica nel 2004 e quando il Paese non fu in grado di pagarla se ne fece carico direttamente la Fifa: nel 2008 effettuò un trasferimento a vantaggio di un gruppo controllato dall’allora vicepresidente dell’organizzazione Jack Warner, attingendo a fondi che erano invece destinati al torneo sudafricano. I documenti menzionano un “alto funzionario” senza nome che diresse i pagamenti, ma secondo le fonti citate dai media americani questo potrebbe essere Valcke. La Fifa e Valcke hanno subito smentito. Hanno ammesso il pagamento in questione, ma precisato che fu autorizzato dall’allora direttore finanziario Julio Grondona, scomparso l’anno scorso. E che venne utilizzato non per tangenti o stravaganti spese personali come afferma la procura ma per fini del tutto legittimi, aiuti alla «diaspora africana nei Caraibi». Warner, va ricordato, è di Trinidad and Tobago.

Per gli Stati Uniti, l’offensiva giudiziaria e di trasparenza si è intensificata di pari passo con la crescita dell’attività sportiva e del business del pallone, compreso il suo ruolo nel Concacaf, la Federazione del Nord e Centroamerica e dei Caraibi dimostratasi uno degli epicentri delle maversazioni. Lynch ha messo sotto accusa la Fifa in un documento di 161 pagine per aver distribuito in tutto oltre 150 milioni in tangenti, «corrompendo sistematicamente il mondo del calcio per arricchirsi». Nel mirino fin da subito nove funzionari Fifa e cinque dirigenti di società di marketing, oltre a un colosso dei prodotti sportivi, probabilmente Nike, per un caso di corruzione in Brasile. Durata 19 mesi, l’inchiesta statunitense aveva mosso i primi passi all’indomani delle polemiche sulla scelta di Russia e Qatar per i prossimi mondiali, ai quali erano stati candidati senza successo gli stessi americani. E dopo che un’indagine interna della Fifa per far luce su eventuali irregolarità affidata all’ex procuratore Usa Michael Garcia era stata archiviata, in segreto e senza alcuna iniziativa, da Blatter.

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