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Questo articolo è stato pubblicato il 04 giugno 2015 alle ore 06:37.

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Il cessate il fuoco nell’Ucraina orientale è in briciole. E con esso gli accordi di Minsk: che negli ultimi tre mesi erano riusciti a contenere - ma non a spegnere - gli scontri tra i separatisti filorussi e le forze governative ucraine. Da ieri, più nessuna finzione: a Marinka e Krasnohorivka, sobborghi (controllati dai governativi) di Donetsk (in mano ai ribelli), sono esplose vere e proprie battaglie, impegnando carri armati e artiglieria pesante. Con la guerra sono tornati gli scambi di accuse, gli avvertimenti degli Stati Uniti e la convinzione del Cremlino di essere di fronte a provocazioni ucraine. E intanto da Bruxelles l’Unione Europea avverte: è molto probabile che al Consiglio europeo di fine giugno le sanzioni contro la Russia verranno prorogate fino al prossimo gennaio. È lo sfondo sul quale il rublo è tornato a perdere terreno.

Torna a impennarsi il numero delle vittime. I separatisti parlano di almeno 15 combattenti uccisi, e di centinaia di minatori intrappolati sottoterra a causa dei blackout provocati dai bombardamenti. Gli ucraini denunciano tre militari morti e 31 feriti, ancora tre sarebbero le vittime civili. Uno scenario temuto, e sempre più inevitabile. La guerra è riesplosa dopo un crescendo di scontri lungo la linea del fronte. E ora il governo ucraino accusa i separatisti di aver lanciato un’offensiva su larga scala, e - insieme ai leader occidentali e alla Nato - ripete alla Russia l’accusa di sostenere i ribelli di Donetsk e Luhansk con uomini e armamenti. Nei giorni scorsi l’agenzia Reuters aveva testimoniato un nuovo ammasso di truppe e armi al confine tra Russia e Ucraina. È stata Mosca ad aver orchestrato la ripresa delle ostilità, è convinto il premier ucraino Arseniy Yatsenyuk: «La Russia - ha detto ieri in una dichiarazione - ha violato ancora una volta gli accordi di Minsk, ordinando ai terroristi di lanciare un’operazione militare».

Washington è sulla stessa linea: «La Russia è direttamente responsabile per gli attacchi - ha commentato Marie Harf, portavoce del dipartimento di Stato -. Qualunque tentativo di occupare altro terreno comporterà costi crescenti». La situazione sembra destinata a riaprire la possibilità di forniture occidentali di armi all’Ucraina: proprio quando l’incontro tra Vladimir Putin e il segretario di Stato americano John Kerry - il maggio scorso a Sochi - era sembrato riaprire una possibilità di collaborazione tra il Cremlino e la Casa Bianca.

Mosca respinge le accuse. «Chi sta cercando di far aggravare la situazione militare lungo la linea di contatto - ha reagito il ministro degli Esteri Serghej Lavrov - volontariamente o involontariamente persegue l’obiettivo di impedire progressi nei colloqui su tutti gli aspetti chiave, siano essi politici, economici o umanitari». Finché la gente è impegnata a combattere, ha detto ancora Lavrov, «ecco pronta la scusa per non affrontare le riforme politiche». In questi tre mesi di quasi-tregua, i progressi sugli altri fronti aperti dagli accordi di Minsk di cui tutti invocano l’applicazione incondizionata - dalla sistemazione politica delle regioni coinvolte alla risoluzione dei problemi sociali aperti dal conflitto - sono stati quasi inesistenti, mentre il mondo ignora una crisi umanitaria sempre più grave.

Anche i separatisti ribaltano la responsabilità per la ripresa degli scontri sugli avversari. Eduard Basurin, portavoce dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, parla di «offensiva provocatoria» dell’esercito ucraino: «Non c’è stata offensiva da parte nostra - ha detto per telefono all’agenzia Bloomberg -. Loro abbandonano il territorio e noi lo occupiamo». «Mosca - aggiunge il portavoce di Putin, Dmitrij Peskov - sta osservando da vicino ed è estremamente preoccupata per le azioni delle forze armate ucraine che - per quanto possiamo giudicare noi - stanno provocando la situazione».

Qualcuno teme che la prossima mossa sia un attacco separatista su Mariupol, porto sul Mar d’Azov che darebbe ai ribelli la possibilità di avvicinarsi alla Crimea e creare un ponte con la Federazione Russa. Piani che Basurin smentisce.

La situazione sembra comunque rendere inevitabile una decisione che i leader europei sono chiamati a prendere alla fine di giugno: la proroga delle sanzioni economiche contro la Russia fino al prossimo gennaio. Fonti diplomatiche e ufficiali europee ieri facevano capire che è questa la direzione in cui si andrà: nelle conclusioni del vertice Ue di marzo, del resto, il Consiglio ribadiva il legame tra la durata dei provvedimenti e l’attuazione degli accordi di Minsk: attuazione possibile, tuttavia, non prima del prossimo dicembre. Eppure è possibile che Mosca contasse sulle divisioni in proposito interne all’Unione, e sulla relativa calma nel Donbass, per ottenere almeno un allentamento delle misure.

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