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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2015 alle ore 08:11.

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Una nuova dracma? Come? E quanto pesa sulle trattative? Risuona da tempo, sia pure in sordina, l’ipotesi che Atene, di fronte alle difficoltà di pagamento di salari e pensioni, possa introdurre una nuova moneta parallela all’euro, evitando così le lentezze e le complicazioni di una trattativa per l’uscita dall’Unione monetaria e quindi dall’Unione europea (come sembra giuridicamente vincolante, salva la possibilità di rientrarci).

Il governo greco sembra essere pronto a questo scenario estremo. Ad aprile Ambrose Evans-Pritchard, attento editorialista su temi di politica monetaria, insieme alla reporter Mehreen Kahn ha riportato sul Daily Telegraph di Londra la dichiarazioni di alcune fonti greche secondo cui era già allo studio il progetto di una nuova dracma, da emettere in coincidenza con il default. «Siamo un governo di sinistra – avrebbe riferito un funzionario – se dovessimo scegliere tra un default verso il Fondo monetario internazionale e un default verso la nostra gente, non ci sarebbe da pensarci». Sarebbe la prima volta di un Paese sviluppato: nell’elenco dei Paesi che non hanno rimborsato l’Fmi ci sono il Sudan, il Perù, la Liberia, la Repubblica democratica del Congo, la Somalia, Panama, Zambia, la Guyana, il Vietnam, lo Zimbabwe, l’Iraq, e un solo Paese europeo: la Jugoslavia.

L’impatto sarebbe dunque molto forte, sul piano della credibilità del Paese, e richiederebbe alcune misure d’urgenza. Sarebbe inoltre necessario trovare una fonte alternativa di liquidità, per pagare stipendi, pensioni e consumi pubblici. «Chiuderemo le banche e le nazionalizzeremo – avrebbe allora dichiarato un’altra fonte del Telegraph – e poi emetteremo Iou, o “pagherò”: una specie di buono, se sarà necessario, e sappiamo tutti cosa questo significhi. Quello che non faremo è diventare un protettorato dell’Europa». L’ipotesi dell’Iou sembra seria, se anche la Banca centrale europea – secondo la Reuters – avrebbe simulato a metà aprile l’introduzione di questo mezzo di pagamento parallelo: «Non vediamo progressi - avrebbe dichiarato un funzionario - dobbiamo elaborare questi scenari».

Non sembra però che la minaccia di sfuggire ai creditori introducendo una nuova moneta sia credibile. La conclusione delle simulazioni della Bce è che, molto probabilmente, non funzionerebbe. Circa il 30% dei cittadini greci riceverebbero queste “cambiali”, alle quali bisognerà affiancare il divieto di rifiutarle come strumento di pagamento. Gli ammontari sono tali per cui si tratterebbe in pratica di una “nuova dracma”.

Facile, in ogni caso, immaginare cosa potrebbe accadere. Con un Iou da mille euro sarà difficile acquistare mille euro di beni, malgrado eventuali gli obblighi legali. Diventerebbe una seconda dracma, con un cambio parallelo, clandestino con l’euro. Non mancano analisti che credono che questi Iou possano avere un potere d’acquisto anche pari a un terzo del loro valore nominale, se non altro per un inevitabile eccesso di sfiducia. Molti cittadini dovrebbero fare ricorso ai loro risparmi, mettendo a dura prova un sistema bancario già debole: oggi deve far continuamente ricorso alla banca nazionale greca per ottenere liquidità di emergenza, dopo un default non potrebbe più attingere a questa fonte. Non a caso il governo avrebbe previsto anche la nazionalizzazione delle aziende di credito, ma potrebbero essere necessari controlli di capitali e persino di beni. L’introduzione di una vera “nuova dracma”, magari con un nuovo cambio fisso o un corridoio verso l’euro, sarebbe a quale punto quasi necessaria. Molti debiti, in ogni caso, resterebbero denominati nella valuta comune, e diventerebbero più difficili da rimborsare.

Alla fine, i costi supererebbero i vantaggi. La “nuova dracma”, come argomento negoziale non funziona. Il risultato di una scelta così radicale sarebbe innanzitutto una grande perdita di credibilità del governo «e non solo verso le controparti e i creditori esteri – sottolinea Erik Nielsen di Unicredit Bank in una breve nota – ma anche con grandi porzioni della comunità nazionale», con il rischio di non riuscire più a governare. Più in generale, secondo Nielsen, il Grexit non potrebbe che causare un collasso economico della durata di cinque-dieci anni. Non diversamente Yves Mersch, componente del consiglio direttivo della Bce, ha sottolineato il mese scorso che tutte le misure straordinarie - come l’Iou o i controlli di capitali - «avrebbero un costo elevato».

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