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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2015 alle ore 06:37.

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new york

Il fast track, la grande priorità di politica economica dell’amministrazione Obama per chiudere gli accordi di free trade con l’Asia prima e l’Europa poi, è in dirittura d’arrivo. Il Senato americano ha in programma oggi di dare il via libero definitivo alla delega parlamentare necessaria al presidente per firmare trattati commerciali senza il rischio di emendamenti.

Il voto odierno consegna una sofferta vittoria alla Casa Bianca, superando l’opposizione del suo stesso partito e di organizzazioni sindacali e ambientali che avevano a lungo bloccato il passaggio della legislazione. Il Senato ha approvato una mozione procedurale che ha posto fine al dibattito, archivioato ogni ostruzionismo e aperto la strada al voto odienro con una maggioranza qualificata di 67 voti a 37 e il sostegno chiave di 13 democratici. Per il voto finale, se non ci saranno sorprese, basterà una maggioranza semplice.

L’iter del cosiddetto fast track, la Trade promotion authority, si era enormemente complicato quando alla Camera la legge era passata priva di un capitolo cruciale sui sussidi ai lavoratori danneggiati dalla liberalizzazione dell’interscambio. La bocciatura di quella misura, in realtà, fu il risultato di una manovra dell’ala liberal democratica assieme alle frange ultra-conservatrici repubblicane, che così facendo resero nulla la legge perchè la versione varata dal Senato conteneva invece gli aiuti. Al Senato, oltretutto, i democratici avevano tutti indicato di non voler considerare alcuna legge priva di quel provvedimento. La svolta è stata adesso frutto di un nuovo compromesso: i leader della maggioranza repubblicana al Congresso si sono impegnati a portare separatamente al voto, da completare nei prossimi giorni, il pacchetto di aiuti ai lavoratori, TAA (Trade adjustment assistance), venendo incontro alle preoccupazioni dei demopcratici pro-commercio. «L’obiettivo è inviare la legislazione al presidente questa settimana», ha detto lo Speaker della Camera John Boehner.

La delega commerciale alla Casa Bianca, che avrà durata di sei anni, è essenziale per dar seguito anzitutto al TPP, il trattato ormai pronto di Trans-Pacific Partnership che ragguppa dodici paesi della regione del Pacifico a comnciare dal Giappone. Ma, subito dopo, anche per accelerare i tempi del TTIP, la Transatlantic Trade and Investment Partnership con l’Unione Europea, attesa per l’anno prossimo e che vedrà uniti mercati forti di oltre il 60% del Pil mondiale.

Sul TTP, però, Washington punta anche per ragioni strategiche. La grande potenza asiatica fuori dal TPP, la Cina - la cui influenza la partnership del Pacifico cerca di moderare – è arrivata ieri a Washington per discutere una agenda fitta di nodi irrisolti. L’amministrazione Obama sta cercando di rilanciare il rapporto a singhiozzo con Pechino durante il settimo Dialogo economico e strategico Usa-Cina, due giorni di incontri inaugurat ieri nella capital americana dal Segretario di Stato John Kerry e da quello al Tesoro Jack Lew. L’obiettivo esplicito è stemperare una recente escalation di tensioni sulla sicurezza, quella militare tradizionale ma anche e sempre più la cybersecurity, come sulle questioni economiche e preparare il prossimo summit a livello di presidenti, Barack Obama e Xi Jinping, a settembre.

Gli americani, nell’ultima mini-crisi diplomatica, sospettano che hacker di Pechino siano dietro al furto di informazioni riservate dall’Ufficio del personale dell’amministrazione federale. Una violazione che potrebbe aver compromesso i dati di milioni di dipendenti, militari compresi, e le “security clearances”, le credenziali di sicurezza dei funzionari. E che spinto la Casa Bianca a rivedere le procedure di difesa informatica. La Cina ha negato, ma già nel 2014 cinque pirati legati alle forze armate di Pechino erano stati incriminati per spionaggio cibernetico. Neppure le polemiche sulla sovranità di isole contese e sul dispiegamento di armi nel Mar Cinese Meridionale danno segno di rientrare. Washington ha appena firmato un nuovo trattato con Tokio che rafforza gli impegni reciproci alla difesa della regione. E il Pentagono sta studiando intese con le Filippine per la presenza a rotazione di forze nel Paese per la la prima volta in decenni.

È però la ragnatela di interessi economici e commerciali a dare rilievo al nuovo “fulcro” asiatico della politica estera americana, compresi intensi negoziati con la Cina che offrono, accanto a ragioni di frizione, i maggiori spiragli per relazioni costruttive. In discussione, oltre al TPP inviso a Pechino, ci sono le nuove istituzioni finanziarie regionali tenute a battesimo dai cinesi tra le proteste americane quali la Asian Infrastructure Bank. Ma il vice Premier Wang Yang, che guida la delegazione cinese a Washington, ha anche auspicato dalle colonne del Wall Street Journal passi avanti per un trattato bilaterale sugli investimenti che superi quelle che definisce discriminazioni e “alte barriere” all’ingresso.

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