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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2015 alle ore 08:11.

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parigi

In Francia è tornata la paura. La paura del nemico in casa, del terrorista isolato che passa attraverso le maglie dei servizi di sicurezza e colpisce improvvisamente, inaspettatamente. Spazzando via la speranza di un ritorno alla normalità forse impossibile. L’uomo nero, l’uomo che sparge sangue e terrore, questa volta si chiama Yassin Salhi. Ha 35 anni, una moglie e tre figli (tra i sei e i nove anni).

Ieri mattina, verso le nove e mezza, è entrato con il furgone della ditta di trasporti per la quale lavora da tre mesi nello stabilimento di Saint-Quentin-Fallavier, una trentina di chilometri a Sud di Lione, del gruppo americano di gas industriale Air Products e ha cercato di far saltare in aria l’impianto investendo un deposito di bombole di gas. Fortunatamente non ci è riuscito ed è stato rapidamente bloccato dai vigili del fuoco.

Ma aveva già seminato l’orrore dietro di sé. Sulla griglia esterna della fabbrica è stata trovata una testa, e poco più in là un corpo decapitato. La vittima, uccisa secondo i macabri rituali dello Stato islamico, è il suo datore di lavoro, un piccolo imprenditore di 54 anni. Erano insieme, diretti verso Air Products per una consegna, quando Salhi lo ha ucciso. Per poi esporre la testa, come un terribile trofeo, sulla recinzione dell’azienda che avrebbe voluto far esplodere. Attorniata da una bandiera dell’Isis.

La matrice islamica dell’attacco sarebbe confermata dalle ricostruzioni di alcuni dipendenti dell’impresa, che lo hanno sentito gridare «Allah akbar», «Allah è grande». Il presidente François Hollande, rientrato precipitosamente dal vertice europeo di Bruxelles per riunire un Consiglio di difesa, ha subito dichiarato che «si è trattato di un atto terroristico». E l’inchiesta è stata affidata alla sezione antiterrorismo della Procura di Parigi.

Secondo le prime informazioni, Salhi era stato inserito nella lista “S” (come sicurezza) dei servizi nel 2006 perché si sospettava un suo processo di radicalizzazione, ma questa segnalazione non era stata rinnovata due anni più tardi, in assenza di fatti concreti. Scomparso dai radar delle forze dell’ordine francesi, Salhi avrebbe iniziato a frequentare dal 2011 ambienti salafiti a Lione. Evidentemente ha passato questi anni sottotraccia in attesa del momento di passare all’azione. Con un tipico attacco di quelli impossibili da prevedere, e quindi da evitare. Quegli attacchi che più temono i servizi di sicurezza, realizzati da cani sciolti senza collegamenti con un’organizzazione terroristica.

E così, cinque mesi e mezzo dopo le stragi di Parigi, la Francia trema di nuovo. Non che siano mancati altri segnali. All’inizio di febbraio un islamico fanatico ha aggredito con un coltello tre poliziotti a Nizza. E lo scorso 22 aprile è stato arrestato nella capitale un uomo che stava preparando attentati in alcune chiese.

D’altronde i 10mila militari del piano Vigipirate sono ancora schierati davanti ai luoghi ritenuti più a rischio. I responsabili politici continuano a ripetere che la situazione rimane molto testa e preoccupante. Il Parlamento ha appena approvato, sia pure tra le polemiche, una misura sui controlli da parte dei servizi che riprende i principi del Patriot Act americano. E il ministero dell’Interno continua ad aggiornare la terribile contabilità dei reclutamenti: oltre 1.500 giovani francesi sono partiti per la Siria e l’Iraq andando a ingrossare le file dell’Isis, circa 500 partecipano ai combattimenti, una ventina sono morti negli scontri o negli attacchi kamikaze e a decine rientrano in Francia con l’obiettivo di commettere attentati.

La Francia – che manda i suoi militari a combattere l’estremismo islamico in Africa e i suoi aerei a bombardare l’Isis in Siria – è ancora una volta in prima linea. Costretta a constatare che il suo modello di integrazione si è rivelato fallimentare, con schiere di giovani musulmani che voltano le spalle all’assimilazione spesso accettata da padri e nonni. Un magma dal quale ogni tanto spunta un Merah, un Kouachi, un Coulibaly. O un Salhi .

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