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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2015 alle ore 08:12.

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Un costo di 26 milioni, sufficiente a coprire le spese di tre mesi. Oltre mille uomini impiegati, due unità navali e quattro aeree. Scatta così la partecipazione italiana all’operazione militare anti-scafisti dell’Unione europea nel Mediterraneo centromeridionale. La missione, denominata Eunavfor Med, è stata stabilita dal Consiglio dell’UE con la decisione PESC/2015/778 adottata il 18 maggio 2015. Ieri il Consiglio dei ministri, presieduto da Matteo Renzi, ha varato il decreto legge ad hoc.

Il periodo di riferimento del provvedimento è dal 27 giugno al 30 settembre e l’operazione europea ha lo scopo principale di smantellare il traffico di esseri umani nel Mediterreaneo, testimoniato dal flusso incessante di sbarchi, dalla Libia soprattutto, nel canale di Sicilia verso le coste italiane e greche. Il decreto legge dà innanzitutto copertura finanziaria – i 26 milioni sono stati presi dal capitolo delle missioni all’estero – all’impegno italiano sancito fin da maggio: l’operazione sarà a guida italiana con base a Roma, il comando è affidato all’ammiraglio di divisione Enrico Credendino che già nel 2012 era stato a capo della missione Ue Atalanta. Il testo del decreto legge messo a punto dai tecnici del ministero della Difesa, guidato da Roberta Pinotti, prevede un’articolazione dell’impegno italiano in tre fasi. La prima, già in corso, è destinata all’individuazione e al monitoraggio delle reti di migrazione attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare. Ma le novità principali del decreto legge del governo riguardano la copertura normativa ai militari inviati (seconda e terza fase).

Secondo le indicazioni del provvedimento inviato a palazzo Chigi per l’esame del Consiglio potranno essere effettuati - alle condizioni previste dal diritto internazionale - fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sospettate di essere usate per il traffico e la tratta di esseri umani in alto mare. Si tratta di attività che devono svolgersi anche in conformità alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o, se si entra nelle acque territoriali e interne dello Stato costiero interessato, con il consenso dello stesso Stato. Non solo: il testo presentato dal governo italiano prefigura - sempre nel rispetto delle risoluzioni Onu o con l’ok dello Stato costiero interessato - l’ipotesi che «potranno essere adottate tutte le misure necessarie nei confronti delle imbarcazioni e dei mezzi sospettati di essere usati per il traffico e la tratta di esseri umani anche eliminandoli o rendendoli inutilizzabili» come si legge in una nota esplicativa al provvedimento. In altre parole si sancisce per la prima volta la possibilità che i barconi utilizzati dagli scafisti siano affondati o quantomeno resi inutilizzabili dopo aver svolto tutte le operazioni di salvataggio e soccorso. Una disposizione esplicita, già proposta in passato più volte dalla Difesa, aveva incontrato, però, l’opposizione del ministero dell’Ambiente. In realtà nella pratica è già avvenuto, non di rado e anche di recente, che una serie di barconi in condizioni più o meno precari sono stati affondati nel canale di Sicilia dalle nostre unità dopo aver tratto in salvo i migranti.

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