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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2015 alle ore 08:11.

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ATENE

Alexis Tsipras, accolto da un boato di ovazioni, mi passa accanto a pochi centimetri, circondato da una testuggine umana del servizio d’ordine che si fa strada tra i 30mila sostenitori in un clima da stadio in Piazza Syntagma, ad Atene, per il discorso conclusivo della breve campagna elettorale per il referendum di domenica. Dietro di lui c’è il ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, il capo negoziatore, Euclid Tsakalotos, e Zoe Konstantopoulou, presidente del Parlamento, che mi stringe la mano con forza scambiandomi per un sostenitore. «Basta con i ricatti della troika e dei tecnocrati che hanno provocato 1,5 milioni di disoccupati in Grecia. Qui, dove è nata la democrazia, lanciamo un messaggio di speranza mentre tutto il mondo ci guarda. Vogliamo restare in Europa con dignità», afferma il premier greco davanti a una folla straripante ed entusiasta ribadendo la sua linea della richiesta di un voto favorevole al governo per tornare al tavolo dei negoziati più forte. «Domenica lanceremo un messaggio di dignità e nessuno ha il diritto di dividerci dall’Europa a cui apparteniamo», conclude in un breve discorso tra cori ritmati che ripetono «no» senza tregua.

A 500 metri, nel vecchio stadio olimpico, c’era il raduno del “sì”, più silenzioso, moderato, solo 17mila supporter e senza un leader riconosciuto che potesse catalizzare l’entusiasmo dei presenti a causa delle divisioni interne del movimento. La guida morale della galassia del “sì” è in mano a due nomi di politici indipendenti e poco compromessi con la politica precedente spesso troppo screditata da anni di austerità e, precedentemente, di clientelismo e conti truccati: Georgios Kammini, sindaco di Atene e Yiannis Boutaris, 72 anni, il sindaco molto apprezzato di Salonicco, la seconda città del Paese. I suoi sostenitori lo chiamano l’anti-Tsipras, l’uomo che dovrebbe tenere il vessillo dei sostenitori del “sì”, insieme a Kammini, nel referendum di domenica prossima. Paulina Lampsa, consigliere dell’ex premier George Papandreou, dice che la «strategia è quella di mettere in secondo piano i partiti tradizionali e mettere in prima fila la società civile». I due sindaci avevano parlato giovedì e ieri non c’erano in piazza. Un errore di comunicazione che potrebbe costare caro al movimento, che ieri è apparso acefalo.

Ma dove va la Grecia? In un sondaggio personale fatto nei due raduni i giovani sono sembrati pronti a dire “no” al referendum, mentre gli anziani sono apparsi realmente terrorizzati, e pronti al “sì” forse anche a causa della campagna allarmante delle tv private che da giorni bombardano sugli effetti catastrofici di una vittoria del “no”. Un segnale inquietante per l’Europa vedere che i giovani gli voltano le spalle.

«Noi giovani non abbiamo paura perché non abbiamo nulla da perdere dopo cinque anni di austerità», dice Yanis, studente 28 anni . «L’Unione europea vuole solo far cadere questo governo ma non vogliono affatto far uscire la Grecia dall’euro. Quindi ci conviene dire no è trattare nuove e migliori condizioni per avere i crediti», racconta Vassilis, 30 anni, idraulico, sostenitore del “no”. «L’Europa vuole soffocarci, ci ricatta perché chi ha i soldi vuole decidere della nostra vita. Ma questa non è l’Europa che io sognavo», dice Kyriakos, 65 anni, autotrasportatore con i capelli raccolti a codino.

«Voto sì contro il governo comunista e perché voglio restare in Europa», ribatte sul fronte opposto Constantinou. «Sono per il sì perché sono contro il governo e perché abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi», aggiunge Ioannis che sventola una bandiera del “sì”, che vendono poco lontano al prezzo di 8 euro l’una più fischietto da corteo a un euro. Nel pomeriggio il Consiglio di Stato greco ha respinto il ricorso presentato contro il referendum voluto da Atene, spianando la strada al voto, che dunque si terrà domenica come programmato.

“«Stiamo mobilitando attori, calciatori, presidenti di squadre sportive per far capire che è una battaglia nazionale non partitica», dice Sofia Voultepsi, ex ministro del governo Samaras al telefono da Cefalonia dove è andata per un tour elettorale. «Soprattutto agli agricoltori ricordiamo che un “no” vorrebbe dire perdere i fondi europei, che abbiamo calcolato sono stati pari a 110 miliardi di euro dal 1981 (data dell’ingresso del paese nell’Unione) al 2020, data della fine dei sette anni di bilancio», conclude Voultepsi.

Con il “sì” e il “no” praticamente alla pari in tutti i sondaggi, la breve campagna per il referendum che deve accettare o respingere gli accordi con i creditori internazionali della Grecia si è conclusa ieri sera con due manifestazioni parallele e contemporanee e qualche scontro, contenuto, tra incappucciati e polizia. Ora i greci devono decidere quale piazza far vincere.

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