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Questo articolo è stato pubblicato il 08 luglio 2015 alle ore 06:35.

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Dopo il sorprendente risultato al referendum popolare di domenica scorsa ad Atene che ha cambiato il panorama politico greco, il premier Alexis Tsipras, 40 anni, è sempre più forte a casa, ma sempre più isolato in Europa. Un evidente paradosso che merita qualche spiegazione supplementare. Ad Atene il premier ellenico è praticamente onnipotente, un politico senza avversari interni ed esterni. Dopo cinque mesi che il primo ministro e capo riconosciuto di Syriza teneva all’angolo le varie opposizioni parlamentari, il giorno dopo la sua strepitosa e inattesa vittoria personale, ha chiesto ai tre partiti tradizionali, come il Pasok, Nea Dimokratia e To Potami, un incontro di emergenza presso la presidenza della Repubblica.

Dopo cinque ore di riunione a volte tesa, i cui verbali non sono stati rivelati alla stampa, Tsipras ha chiesto ai leader delle tre formazioni politiche di firmare una richiesta comune rivolta alla Banca centrale europea di Mario Draghi perché innalzi il tetto dei prestiti di emergenza (Ela) oggi fermo a 89 miliardi di euro. Richiesta tecnica ma dalla valenza politica. Una proposta accettata da tutti i partiti presenti alla riunione di unità nazionale, una svolta che finalmente trasforma Tsipras da leader di partito radicale in premier del Paese. Poi Tsipras ha voluto e ottenuto la testa dell’esuberante ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, la cui missione, di internazionalizzare la crisi greca in ogni angolo del mondo, era da considerarsi conclusa. Ma la vittoria interna si è spinta fino al punto di costringere alle dimissioni da capo del maggiore partito di opposizione l’ex premier Antonis Samaras, che ha abbandonato la guida di Nea Dimokratia dopo che il capo della formazione giovanile del partito di centro destra ha detto che nessuno si poteva considerare inamovibile dopo i risultati del referendum. L’altra testa che, metaforicamente, è rotolata è stata quella di Evanghelos Venizelos, il potente ex ministro degli Esteri del governo Samaras e Papandreou ed ex presidente del partito socialista greco, il Pasok. Venizelos aveva sentito che il vento politico in Grecia stava cambiando e aveva rassegnato le dimissioni da leader del partito una settimana prima che arrivasse il risultato del referendum.

A fronte di questa vittoria politica sul fronte interno, dove il premier Alexis Tsipras non ha più praticamente rivali se non il giovane e carismatico leader di To Potami, Teodorakis, il primo ministro greco però deve constatare un tragico isolamento politico in Europa, un elemento molto preoccupante. Nessuno dei 18 Paesi dell’eurozona lo sostiene più apertamente. Una posizione insostenibile nel medio periodo, perché l’Unione europea è un meccanismo di cooperazione tra partner, non un’organizzazione di Paesi conflittuali tra loro. Tsipras, e soprattutto Varoufakis, hanno in passato cavalcato una opposizione ideologica alle misure proposte dai creditori europei. Una posizione che ha scavato e corroso quel bene prezioso che si chiama fiducia reciproca tra Paesi partner dell’Unione europea. Questo è il tema più importante che il primo ministro deve recuperare al più presto e senza indugi se la Grecia vuole tornare ad essere un Paese europeo tra altri Paesi membri, non uno contro tutti gli altri.

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