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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2015 alle ore 08:10.

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Nell’ultimo piano greco appeno sfornato nella notte tra giovedì e venerdì tornano a comparire, con un ruolo centrale, le privatizzazioni dei beni pubblici ellenici. Un obiettivo di incasso supplementare per ridurre il debito o le necessità di cassa che in passato e con qualsiasi degli ultimi tre governi che si sono succeduti dal 2009 non è mai stato raggiunto e nemmeno sfiorato. Va ricordato che nel primo piano del 2010 la troika aveva fissato in 50 miliardi di euro gli incassi previsti per il triennio successivo dalla messa sul mercato di beni e società pubbliche: a malapena si sono riusciti a racimolare sette miliardi in cinque anni e numerosi scandali che hanno sfiorato l’attività della speciale agenzia per le privatizzazioni che ha avuto il più alto turnover dei suoi capi anche rispetto al cambio dei primi ministri.

Ora si volta pagina e si torna a mettere sul mercato una serie di gioielli di famiglia che potrebbero far gola a più di un investitore. Si privatizzeranno gli aeroporti regionali (in pole position i tedeschi della società aeroportuale Fraport di Francoforte), il vecchio aeroporto di Atene Hellenikon (è interessato il fondo del Qatar insieme ad alcuni soci greci per la realizzazione di hotel e residenze di lusso), i porti di Salonicco e del Pireo (sono il lista di attesa i cinesi della società di container Cosco che ha già due moli in gestione per 35 anni al Pireo). Ma c’è di più. Le azioni ancora in mano al governo della Ote, il colosso della società di telecomunicazioni greca, già in mano in maggioranza ai tedeschi della Deutsch Telekom, dovranno passare all’agenzia delle privatizzazioni. Per ora resta fuori la Dei, il monopolista dell’energia elettrica ma entra in rampa di lancio la società di trasmissione dell’energia elettrica Admie, su cui in passato c’erano state delle manifestazioni di interesse da parte della società italiana Terna.

A mancare all’appello delle privatizzazioni c’è la Dei, la maggiore società energetica del paese. Nel primo consiglio dei ministri dopo le elezioni, a gennaio 2015, il ministro dell’Energia Panagiotis Lafazanis nonché capo dell’ala di sinistra di Syriza, aveva dichiarato che avrebbe bloccato immediatamente il piano di privatizzazione del 30% della compagnia elettrica Public Power Company, Dei in greco, la più grande public utility del Paese, di cui lo Stato ellenico controlla una quota di maggioranza, e della compagnia di distribuzione dell’energia elettrica (Admie). Alla fine è rimasto il veto solo sulla Dei ma non sulla Admie.

Nella lista delle società da mettere sul mercato manca anche il 35,5% della Hellenic Petroleum, la maggiore raffineria del paese. Anche qui a mettere il veto era stato il ministro dell’Energia che aveva stoppato la prevista cessione ai privati della società. «La quota di Hellenic Petroleum che era stata trasferita all’agenzia per le privatizzazioni tornerà allo Stato», aveva spiegato il ministro alla cerimonia di passaggio di consegne con il suo predecessore.

Va segnalato che il piano di privatizzazioni non era decollato nemmeno con il precedente esecutivo di centro destra di Antonis Samaras sebbene fosse una delle condizioni fissate dalla troika in cambio dei prestiti ricevuti da Atene. Anche sul Pireo c’erano stati dei cambiamenti di fronte che avevano fatto innervosire i cinesi della Cosco. Appena insediato il governo Syriza aveva congelato la vendita del 67% del Porto di Pireo, un’operazione già avviata dal precedente governo per la quale erano rimaste in corsa quattro società, tra cui la big cinese Cosco. «L’accordo per Cosco sarà rivisto per il beneficio del popolo greco» aveva detto il vice ministro Thodoris Dritsas. Il colosso cinese, che ha già in concessione per 35 anni due terminal del porto del Pireo, non aveva gradito. La Cina in questi anni è stato un investitore di primo piano in Grecia, che vede come una porta d’accesso privilegiata al mercato europeo. E alla fine Tsipras ha fatto marcia indietro anche sul fronte del porto del Pireo.

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