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Questo articolo è stato pubblicato il 05 agosto 2015 alle ore 06:37.

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«Abbiamo preso l’impegno di cambiare l’Italia. È un impegno del Pd. La nostra gente ci chiede di fare le riforme che servono. Per questo, con tutto il rispetto per i colleghi di partito, credo che la polemica costante lasci il tempo che trova». E ancora: «Il fatto che ogni giorno ci siano discussioni, divisioni interne non oscura i risultati del governo: in un anno abbiamo fatto il Jobs act, la riforma della Pa, il divorzio breve, la responsabilità civile dei magistrati, la riforma della scuola, la custodia cautelare, l’anticorruzione, i reati ambientali e le riforme istituzionali in due letture. I risultati ci sono, nonostante le effervescenze dialettiche. Questo Parlamento sta lavorando con una intensità mai vista nella storia della Repubblica».

In viaggio da Tokio a Kyoto, nell’ultimo giorno della sua visita ufficiale in Giappone, Matteo Renzi torna sulle polemiche alzate quasi giornalmente dalla minoranza del suo partito. Quando il premier fa le sue riflessioni non c’è ancora stato l’ultimo incidente in casa dem, quello sulla nomina dei consiglieri Rai con i membri della sinistra Pd in Vigilanza schierati per Ferruccio De Bortoli (si veda pagina 5), ma il clima è da giorni pessimo. La minoranza del Pd si trova ormai in disaccordo su tutto, dalle misure annunciate per la legge di stabilità alla Rai fino a quella riforma costituzionale che sarà il vero spartiacque della legislatura. «C’è molta preoccupazione anche tra di noi - ammette Alfredo D’Attorre, bersaniano tra i più radicali - e il giro di boa sarà da settembre con la riforma del Senato e del Titolo V prima e con la legge di stabilità poi». L’obiettivo a breve termine della minoranza è costringere Renzi a scendere a patti con la sinistra del Pd modificando il Ddl Boschi e virando in senso più redistributivo la manovra fiscale. A lungo termine l’obiettivo appare meno chiaro, ma i protagonisti spiegano che si vuole riportare a sinistra l’asse politico del partito. «Siamo a un bivio politico - ragiona D’Attorre -. O ricostruire il centrosinistra o costruire il partito della Nazione. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a un continuo riposizionamento verso il centro e questo non va bene. Vogliamo avere Fassina e una parte di Sel come alleati, non Sandro Bondi e Angelino Alfano...».

Un dialogo tra sordi, almeno al momento. E il premier va dritto per la sua strada, sempre più convinto che fermarsi a mediare non lo aiuterà a recuperare consensi. «Ci sono due Italie, una che ci prova e una che si lamenta solo: certo, ci sono tanti problemi ma c’è anche tanto che funziona. E a me pagano per provarci», dice Renzi dal Giappone. Provarci, tenere fede alla promessa di riforme fatta agli elettori, anche a costo di perdere consensi. Renzi riconosce che «i dati del consenso non sono più alti come quelli dell’anno scorso», che la «riforma del mercato del lavoro ci è costata scioperi e una polemica costante»: «Ma è un mio dovere - conclude -, un mio imperativo morale fare quello che abbiamo promesso». A partire, si intende, dall’abolizione del Senato elettivo tanto osteggiata dalla minoranza del suo partito.

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