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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2015 alle ore 08:10.
Due episodi, entrambi degli ultimi giorni, illustrano meglio di mille numeri le condizioni del settore petrolifero, afflitto da quotazioni del barile ostinatamente inferiori a 50 dollari: ieri un nuovo ribasso, che ha riportato il Brent a livelli che non toccava da gennaio (48,55$), quando arrivò al minimo da sei anni.
Il primo episodio riguarda la Sea King, una nave o meglio una gigantesca petroliera - categoria Very Large Crude Carrier (Vlcc), da 2 milioni di barili di capacità - che due settimane fa era salpata dalla Gran Bretagna verso la Corea del Sud, ma è stata improvvisamente rinviata al mittente quando si trovava al largo del Portogallo, con il suo carico di greggio del Mare del Nord: una storia non del tutto chiara, ma che non ha stupito i trader, perché se il respingimento di una petroliera resta un fatto insolito, capita ormai ogni giorno, in un mercato afflitto da un enorme eccesso di offerta, di vedere carichi di greggio che restano a lungo invenduti.
L’altro episodio arriva dagli Stati Uniti , dove dopo la stagione degli sconti Halliburton - uno dei colossi mondiali dei servizi alle società petrolifere - ha inaugurato quella dei pagamenti dilazionati: perfori oggi e paghi con comodo, chissà forse anche a rate. La società non ha voluto diffondersi in dettagli, ma ha confermato che era per questo tipo di politiche commerciali che aveva chiesto e ottenuto da BlackRock un finanziamento di 500 milioni di dollari: per difendere ad ogni costo il portafoglio ordine, andando in soccorso delle indebitatissime società dello shale oil, che dopo anni di soldi facili - anzi, facilissimi - stanno ormai perdendo il sostegno di banche e investitori. A loro volta i “fracker” non possono evitare di produrre a più non posso, spremendo il terreno fino all’ultima goccia pur di guadagnare qualcosa. In molti casi la bancarotta viene solo rinviata, mentre l’imperativo di perforare non fa che prolungare le condizioni di surplus che schiacciano il prezzo del petrolio.
La settimana scorsa - per la terza settimana consecutiva - il numero delle trivelle è aumentato negli Stati Uniti: ne sono state aggiunte 6 per la produzione di petrolio e 4 per il gas, secondo le statistiche di Backer Hughes. In totale sono 883, tuttora meno della metà dell’anno scorso. Ma la tendenza non è incoraggiante: secondo Jamie Webster, senior director di IHS Energy, bisognerebbe rimuoverne altre 200 per consentire alla produzione petrolifera Usa di diminuire di mezzo milione di barili al giorno, il minimo indipensabile, secondo la società di analisi, per poter sperare di smaltire l’eccesso di greggio sul mercato. Fino a marzo invece la produzione petrolifera degli Usa è cresciuta senza sosta, raggiungendo un record di 9,7 milioni di barili al giorno. Solo in maggio le statistiche governative hanno mostrato una diminuzione significativa, a 9,5 mbg.
Bisogna solo avere pazienza e aspettare l’arrivo di dati più precisi, ha dichiarato ieri Bill Thomas, ceo di Eog Resources, una delle maggiori - e delle più solide - società dello shale oil americano: «Vedremo declini di produzione significativi, mese su mese, nella seconda metà dell’anno».
Le condizioni finanziarie dei frackers stanno in effetti diventando sempre più precarie. E l’accesso al credito per molti è diventato proibitivo. Questa settimana il rendimento medio delle obbligazioni “spazzatura” del settore energetico è schizzato oltre l’11%, un livello stratosferico, superiore anche alle impennate dello scorso autunno. Per colpa delle petrolifere (ma anche delle minerarie, visto che il crollo delle materie prime è generalizzato), tutto il comparto high yield negli Usa ha raggiunto livelli di rendimento elevati, oltre il 7 per cento.
In luglio i junk bond energetici hanno perso il 5%, superati solo dal -8,6% del comparto Metals & mining: una performance negativa davvero da primato (solo le assicurazioni fecero peggio, nel maggio 2010). Sempre in luglio si è impennato - al traino, guarda caso, dell’energia - il ricorso al Chapter 11: a cercare protezione dalla bancarotta sono state in tutto 637 società, secondo Epiq Systems, il 77% in più rispetto a un anno prima e il massimo da tre anni. In tutto il mondo, segnala S&P, il mese scorso i casi di insolvenza sono raddoppiati: ci sono stati ben 64 default. «Il settore Oil & Gas è stato un grande driver», osserva la società di rating.
.@SissiBellomo
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