Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 agosto 2015 alle ore 06:36.

My24

Le turbolenze dei mercati azionari cinesi sembrano essere finite, ma permane una notevole incertezza, non solo sulle cause della recente picchiata delle Borse di Shanghai e Shenzhen, ma anche sulle sue conseguenze per le riforme finanziarie in Cina. Il crollo della Borsa cinese è stato attribuito a molteplici fattori. I mezzi di informazione ufficiali avevano inizialmente imputato il disastro alla «premeditata» vendita allo scoperto di azioni cinesi da parte di banche e trader stranieri. In seguito l’attenzione si è spostata su una causa apparentemente più credibile: la proliferazione di finanziamenti a margine dal 2010.

Ma il vero colpevole è il governo che prima ha soffiato sul fuoco di un investimento eccessivo, e poi, all’improvviso, ha cercato di tagliare le riserve di ossigeno. Il carattere frammentario del sistema regolativo cinese – composto dalla banca centrale, dalla Commissione che regola i mercati cinesi (la Csrc), dalla Commissione che regola gli istituti bancari e da quella degli istituti assicurativi – non ha fatto che peggiorare le cose.

Lo scorso dicembre, dopo due anni di mercato «lentamente rialzista», il People’s Daily, organo di stampa del Partito comunista cinese, ha annunciato l’arrivo di una cosiddetta «riforma del mercato al rialzo» che avrebbe spinto l’indice composito di Shangai ben oltre 4000. Questo ha convinto tutti che fosse iniziato un corso «fortemente rialzista» che sarebbe potuto durare dieci anni, e ha spinto gli investitori ad acquistare azioni a prezzi già elevati. In parole povere, le autorità hanno alimentato una bolla.

La Csrc stava perseguendo un obiettivo troppo ristretto, concentrata com’era a sostenere il trend rialzista a suon di policy e di discorsi mirati a infondere fiducia negli investitori e a incoraggiare le partecipazioni. Dopo la crisi, è diventato lampante che quegli incentivi erano tossici e precari. La Csrc non ha portato a compimento la sua vera missione: creare una robusta struttura istituzionale capace di sostenere un forte investimento.

E una volta che il mercato è decollato, l’euforia ha preso il sopravvento. Gli indici di mercato si sono spinti oltre ogni ragionevole limite. E solo quando il mercato puntava a 5000, i regolatori si sono finalmente resi conto che stava aumentando anche il rischio di una drastica correzione. Ma anziché incrementare gli sforzi per attuare regolamentazioni decise e mirate, hanno fatto un repentino dietrofront, ammonendo gli investitori del rischio bolla e dichiarando guerra alla finanza allo scoperto.

A questo si è aggiunto un cambio di rotta dell’indice che ha cominciato a precipitare e la Csrc è sprofondata nel caos più totale; a parte emettere una raffica di provvedimenti amministrativi, ha fatto poco per interagire con gli investitori e con il mercato, non avendo gli strumenti per chiedere la loro opinione e il loro consiglio. È stato solo quando la situazione è sfuggita di mano che la banca centrale cinese ha ammesso cosa stava succedendo – la Csrc non era stata in grado di invertire la marcia – e ha dichiarato che sarebbe intervenuta per capitalizzare il mercato.

La conclusione è chiara: l’attuale sistema regolativo, caratterizzato da una ripartizione delle responsabilità fra gli organi costituenti, è completamente sfasato rispetto alla rapida crescita cinese e ai mercati dei capitali sempre più integrati. I leader cinesi devono a questo punto ammettere che il quadro regolativo non sta più in piedi e procedere a una massiccia ristrutturazione. Un’opzione proposta è creare un super regolatore unico, come la Commissione di supervisione finanziaria istituita in Corea del Sud dopo la crisi asiatica degli anni Novanta. Che venga istituito o meno un organo del genere, sarà fondamentale creare dei canali di cooperazione tra ministeri.

Una forma di collaborazione interministeriale è già stata sperimentata in Cina. Per tutelare meglio gli interessi degli investitori, ora la Cina deve trovare i modi per garantire quella cooperazione tra i regolatori finanziari, anche riformando le istituzioni chiave. È importante che lo faccia adesso, mentre persegue le sue riforme finanziarie ad ampio raggio. E la picchiata del mercato dovrebbe darle maggior slancio.

Il timore è che i recenti crolli dei mercati finanziari possano aver spaventato il governo facendogli allentare il ritmo delle riforme, tra cui gli sforzi per aprire i conti dei capitali cinesi. Ora bisognerà vedere se il governo ammetterà che il crollo sia stato provocato da una cattiva regolamentazione o se invece resterà convinto che sia stata opera di qualche forza maligna straniera. Il mantenimento del ritmo di riforma dipenderà molto da questo. Sono convinto che le autorità cinesi risponderanno al crollo continuando a tenere la rotta stabilita dalla riforma finanziaria. Ignorare le lezioni dei recenti crac finanziari sarebbe un grave errore, un errore che le tenaci e pragmatiche autorità cinesi eviteranno con determinazione.

*Professor of Economics and Director of the China Center for Economic Studies at Fudan University, Shanghai

(Traduzione di Francesca Novajra)

Commenta la notizia