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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2015 alle ore 06:37.

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Intervento militare e raid contro l’Isis: questa è stata la richiesta del ministro degli Esteri libico, Mohamed al Dairi, alla Lega Araba convocata ieri al Cairo in riunione straordinaria. La risposta, in attesa di una risoluzione definitiva, è stata positiva ma cauta. Nel comunicato congiunto diffuso al termine meeting egiziano, i membri della Lega Araba hanno sottolineato che data la difficile situazione vi è un urgente bisogno di pianificare una strategia araba che agisca direttamente sul campo, che comprenda anche la relativa assistenza militare alla Libia per affrontare lo Stato islamico. I delegati della Lega hanno inoltre deciso di tenere un terzo incontro per la costruzione di una Forza araba congiunta il prossimo 27 agosto al Cairo.

Il capo della Lega araba, Nabil El Araby, ha esortato i Paesi membri a rispondere «in modo pronto ed efficace» all’appello dei rappresentanti libici del governo di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale e in trattative con quello di Tripoli con la mediazione dell’Onu. La conclusione positiva di questo negoziato tra Tobruk e Tripoli appare comunque la condizione essenziale per dare il via a un intervento europeo e occidentale con una missione sotto l’egida delle Nazioni Unite che secondo alcune indiscrezioni potrebbe essere capeggiata dall’Italia, il Paese più coinvolto in Libia sia sotto il profilo della sicurezza che dei flussi migratori.

Al Araby ha sottolineato la necessità di prendere tutte le misure necessarie per ripristinare la sicurezza e la pace in Libia. I vertici arabi, secondo quanto riferito dai media locali, hanno deciso di fornire sostegno politico e militare «per preservare e proteggere la sovranità libica, sostenere l’esercito nazionale ed eliminare il terrorismo».

Verrebbe da dire finalmente, perché alcuni dei Paesi arabi che ieri hanno mostrato tutta questa buona volontà di volere preservare un’unità libica che non esiste più da un pezzo, hanno agito in questi anni in maniera esattamente contraria, sponsorizzando le diverse milizie locali e le fazioni islamiche che hanno ridotto il Paese sull’orlo della somalizzazione aprendo la strada alla penetrazione del Califfato e di altri gruppi jihadisti che stanno insanguinando l’ex colonia italiana.

L’ipocrisia di Paesi come l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati e il Qatar - uniti ieri nel difendere la sopravvivenza della Libia - non è certamente inferiore a quella di potenze occidentali come la Francia e la Gran Bretagna che dopo avere bombardato Gheddafi nel 2011 si sono progressivamente disimpegnate di fronte alle loro responsabilità. Responsabilità che hanno coinvolto anche gli Stati Uniti: dopo l’uccisione a Bengasi nel 2012 dell’ambasciatore Chris Stevens, sono intervenuti sul terreno limitandosi a dare la caccia a jihadisti e qaedisti. Ma la Libia, come problema politico e di sicurezza internazionale, è scomparsa dall’agenda di Washington che per altro guida i raid aerei della coalizione internazionale anti-Isis in Iraq e in Siria. Allo stato attuale dei fatti parlare di una strategia occidentale anti-Isis è davvero usare parole fuori luogo, anzi sono più le contraddizioni che le iniziative coerenti: è sufficiente guardare a quanto accade al confine turco-siriano dove per imbarcare Erdogan nella coalizione internazionale si è dato il via libera ai bombardamenti della Turchia contro i curdi del Pkk.

Anche di questi precedenti bisognerà tenere conto se l’Italia dovesse intervenire militarmente in Libia. È dallo scorso gennaio che presso gli stati maggiori militari e il Coi (Comando Operativo di vertice Interforze) è iniziato lo studio di diversi scenari di intervento in vista di una possibile operazione dell’Onu in Libia. Tra le ipotesi c’è la concessione delle basi aeree nel Sud Italia per i caccia della coalizione internazionale. Manovre alle quali potrebbero partecipare anche i droni dell’Aeronautica militare. Se la guida dell’operazione venisse affidata all’Italia, si può ipotizzare l’impiego della portaerei Cavour, sia per incrociare di fronte alle coste libiche che come sede del comando multinazionale. In ogni caso lo schieramento sul terreno delle forze speciali non sarebbe immediato e dipenderà dal mandato dell’Onu e dal tipo di missione richiesta.

Questo scenario di intervento militare con il cappello delle Nazioni Unite può avere un’influenza su flussi migratori ma soltanto lateralmente: in realtà sarebbe già sufficiente la missione navale europea. Naturalmente se funzionasse.

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