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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2015 alle ore 07:09.

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NEW YORK

La Federal Reserve l’ha messo in chiaro, come meglio non avrebbe potuto e più di quanto non abbiano forse fatto finora istituzioni globali, quali il Fondo Monetario, o analisti privati. La crescita globale, o meglio le fragilità e le gravi tensioni che la scuotono, preoccupa. Preoccupano la Cina, con la sua frenata che potrebbe essere ancor più seria dell’obiettivo ufficiale, quel 7% che sembra tanto paragonato all’Occidente ma che per la corsa della fresca potenza asiatica già rappresenta una cocente delusione. Preoccupa la sempre anemica Europa, anche dopo i faticosi accordi per scongiurare Grexit. E preoccupa la troppo debole inflazione americana, che non pare intenzionata a muoversi verso quel target del 2% che la Banca centrale considera ideale e necessario a un’economia in salute.

L’improvvisa paura di un’evanescente espansione mondiale - riconosciuto tra le righe dei verbali dell’intenso quanto incerto dibattito in seno all’ultimo vertice Fed di luglio - è oggi il nuovo spettro in agguato sui mercati e tra gli operatori economici. Capace di mandare in fibrillazione investitori ai quattro angoli del mondo, da Wall Street a Londra, da Shanghai al Kazakhstan. Di spedire in brusco ribasso, foriere di nubi sempre più dense, piazze emergenti i cui destini sono spesso legati a doppio filo alla Cina come agli Stati Uniti e alle loro scelte di politica monetaria.

«Siamo davanti a una drammatica svolta», ha avvertito Tom Digenan, di UBS Global Asset Management. «Gli ultimi verbali della Fed hanno certamente aumentato il fattore-paura», evidenziando quale ragione di fondo del dilemma se alzare o meno i tassi d’interesse a settembre proprio le incognite sull’economia globale. Se insomma può rassicurare che la Fed non si precipiti a occhi chiusi verso una stretta monetaria, non è invece affatto tranquillizzante che lo faccia perché i destini economici sono nuovamente in discussione.

Il rischio, paventato dai più pessimisti, è quello di veri e propri shock - o spirali di scosse trasmesse tra mercati ed economie - che possano mettere alle corde un sistema ancora indebolito e a corto di strumenti e risorse dopo la precedente crisi globale, quella esplosa nel 2007.

È, oltretutto, uno spettro che a ben guardare ha cominciato a materializzarsi nelle previsioni fin dai mesi scorsi. L’Fmi in luglio ha ridimensionato le attese di crescita, seppur timidamente: paesi emergenti al 4,2% dal 4,6% dell’anno scorso, anche se i paesi sviluppati a suo avviso dovrebbero accelerare un po’, al 2,1% dall'1,8 per cento. Questo però potrebbe essere un pronostico rapidamente invecchiato: la grande locomotiva americana, dopo essersi moderatemente rimessa in carreggiata al passo del 2,7% nel secondo trimestre dell’anno, deve adesso passare sotto le forche caudine di un terzo trimestre che nelle previsioni medie potrebbe attestarsi su percentuali poco più basse, il 2,5%, ma che stando ad alcuni osservatori potrebbe scivolare fin sotto l’1 per cento. Tanto più davanti alla pioggia di danni per i bilanci della Corporate America e per l’export, esposti alle tensioni internazionali.

Un colosso privato delle analisi economiche e finanziarie Moody's Investors Service è a sua volta reduce da un rapporto sull’economia globale che pronostica una marcia sottotono nei prossimi due anni. Il Pil delle nazioni del G20 è atteso dalla società al 2,7% quest’anno e al 3% nel 2016, sotto ritmi pre-crisi finanziaria che non verranno raggiunti neppure nei prossimi cinque anni. «La ripresa negli Stati Uniti e, in misura minore, nell’area Euro e in Giappone, sarà controbilanciata dal rallentamento in corso in Cina, da una crescita bassa o negativa in America Latina e da un recupero solo graduale dalla recessione in Russia», ha fatto sapere Marie Diron, autrice del rapporto. Washington è vista crescere del 2,4% quest'anno e del 2,8% il prossimo, l'area Euro dell'1,5% e la Cina del 6,8% e del 6,5 per cento. Il rapporto, tuttavia, resta caratterizzato da pesanti interrogativi: da ulteriori correzioni violente nei prezzi azionari e immobiliari cinese, a interventi disordinati e male accolti della Fed in politica monetaria, fino a rigurgiti della crisi greca ed europea.

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