C’è la volatilità delle piazze finanziarie. E ci sono le ombre sull’economia cinese e globale. Ma tra le preoccupazioni pratiche e teoriche che tengono sulle spine la Federal Reserve - oggi e quando deciderà di alzare i tassi d’interesse, a settembre o più tardi - c’è anche un altro inatteso rebus: l'inflazione. O meglio la sua assenza - 39 mesi sotto il target del 2% - durante una fase di crescita e aggressivi stimoli. Avviare una stretta senza inflazione potrebbe diventare una scommessa al buio sulla salute della ripresa.
Il tema ha concluso il Simposio della Fed a Jackson Hole. Un panel sulle «Dinamiche globali» ha mobilitato i top gun della politica monetaria per rassicurare che l’inflazione c’è, anche se non si vede: Stanley Fischer, vice presidente della Fed, Mark Carney della Bank of England , Vitor Constancio, numero due della Bce, e Raghuram Rajan della Reserve Bank of India. «L’inflazione si è comportata in modo imprevisto in molti paesi», ha ammesso la Fed. Fischer e Constancio, in particolare, hanno rassicurato che miglioramenti sono prevedibili e Carney ha minimizzato anche il rischio-Cina. «Le aspettative inflazionistiche americane nel lungo periodo sono stabili» e la credibilità della Fed ne è un’importante ragione, ha detto Fischer . Questo, con il rientro di effetti transitori quali il calo del greggio, offre «buone ragioni per credere che l’inflazione si rafforzerà» e legittimerà un percorso cauto nel rialzo dei tassi che «conta più del timing della prima decisione». Constancio ha affermato che per l’Eurozona la bassa inflazione è in buona parte spiegata «da debolezza della domanda interna» e che il legame tra inflazione e economia reale «appare consolidarsi», tanto che «dovremmo poter portare l’inflazione più vicina al target nel medio periodo se le nostre politiche avranno successo nel ridurre la debolezza economica».
Ma il dibattito resta acceso. La «colomba» oggi più militante nella Fed - il governatore di Minneapolis Narayan Kocherlakota - ha intimato che senza un ritorno dell’inflazione al 2% una stretta suggerirebbe ai mercati che la Fed ha rinunciato all’obiettivo innescando spirali negative. La sfida è riconosciuta anche fuori dai confini delle banche centrali. «Vorrei vedere maggiori aumenti dei salari» dice Alan Krueger, docente alla Princeton University, ex sottosegretario al Tesoro di Barack Obama per la politica economica ai margini dei lavori. «Ma credo che l’economia americana continuera' a marciare a passo moderato, tra il 2% e il 3% e una piccola stretta sui tassi entro l’anno è una buona mossa». Il Nobel Joseph Stiglitz invoca invece nessuna stretta e target d'inflazione fino al 4 %.
Il lato accademico di Jackson Hole ha a sua volta visto la presentazione di ricerche per fare i conti con l’inflazione «sconosciuta». Gina Gopinath di Harvard University ha affrontato il sistema internazionale dei prezzi e mostrato come, con il ruolo dominante del dollaro, i movimenti nei cambi e le scelte di politica monetaria americana generino contraccolpi su inflazione e economie altrui mentre non avviene l'opposto. Un altro studio, di S. Boragan Arouba dell’Università del Maryland e di Frank Schorfheide dell’Università della Pennsylvania, ha toccato il fenomeno di protratti tassi a zero che limita la capacità delle banche centrali di rispondere a shock. Ma ha minimizzato i rischi di deflazione per Stati Uniti e Eurozona nei prossimi cinque anni (da pressoché nulli ora a non oltre il 20%) mentre restano del 50% per il Giappone. Un terzo ha analizzato il rapporto tra politica monetaria e inflazione, invitando le banche centrali a evitare modelli semplicistici e a «meglio integrare nelle decisioni disparate e confuse dinamiche». Ancora: Simon Gilchrist della Boston University e l'economista Fed Egon Zakrajsek hanno sottolineato come, durante crisi finanziarie, aziende a corto di fondi e credito rispondano «stranamente»: anziché abbassare i prezzi li alzano per rastrellare risorse . Durante simili shock, inoltre, misure per stabilizzare l'inflazione danno «risultati economici peggiori» di quelle che stabilizzano l’output. Dalla soluzione del rebus inflazione-tassi potrebbe dipendere l'esito delle mosse della Fed e la sua credibilità.