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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2015 alle ore 06:36.
NEW YORK
Non basta Mario Draghi a Wall Street. Gli occhi degli investitori americani sono tutti puntati sulla Federal Reserve e sul mercato del lavoro del lavoro americano che potrebbe confermare o tradire il suo desiderio di strette monetarie. Le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti sono aumentate ieri più del previsto, 12.000 domande che le hanno gonfiate a 282.000, più delle 275.000 previste. Questo dopo che il sondaggio ADP sul settore privato aveva deluso, riportando meno di 200.000 posti di lavoro creati in agosto. E alla vigilia del dato nazionale sull’occupazione dal quale oggi - Wall Street come la Fed – sperano riesca a sciogliere eccessive incertezze sulla forza della ripresa americana e sulla decisione su un rialzo o meno dei tassi d’interesse al vertice del 16 e 17 settembre.
La borsa americana, nell'attesa, ha ieri oscillato nervosamente. Aveva guadagnato terreno in mattinata, sostenuta dalle promesse di nuovi stimoli economici della Bce, ma ha poi perso slancio nelle ultime ore di scambi. L'indice Dow Jones e lo S&P 500 sono ritornati su livelli quasi invariati mentre il Nasdaq è scivolato in negativo. Le piazze statunitensi non hanno così neppure approfittato della chiusura per festività ieri e oggi dei traumatizzati mercati cinesi e della discesa dell’indice Vix della volatilità e paura in Borsa a quota 25 rispetto alle vette di 53 raggiunte la scorsa settimana.
Gli investitori avevano inizialmente tratto conforto dall’andamento del deficit commerciale americano: in luglio è diminuito ai minimi da cinque mesi, del 7,4% a 41,9 miliardi di dollari, aiutato da un aumento dello 0,4% nelle esportazioni di auto e macchinari industriali, nonostante il rafforzamento del dollaro e le tensioni globali che però non erano ancora del tutto esplose. Le importazioni sono scese dell’1,1 per cento. Wall Street aveva tuttavia guadagnato soprattutto in risposta alle parole del presidente della Bce pronto a rafforzare le politiche di quantitive easing. Una posizione che potrebbe consigliare alla stessa Fed temporanei quantomeno rinvii della sua stretta, auspicati dagli operatori più preoccupati per l'espansione.
Ma il momento della verità, per la Fed, potrebbe arrivare oggi dal lavoro: la scommessa è che la ripresa abbia generato 220.000 impieghi e fatto scendere il tasso di disoccupazione di 0,1 punti al 5,2 per cento. Un segnale - psicologico oltre che economico – del quale la Banca centrale ha bisogno per legittimare l'avvio di una graduale normalizzazione dei tassi. Sarebbe paradossale ma neppure troppo se fosse il mercato del lavoro a convincere la Fed a temporeggiare: numerosi governatori hanno di recente citato i progressi su questo fronte tra i più convicenti successi della ripresa, lamentando piuttosto la carenza d’inflazione quale tassello mancante alla salute dell’economia. Ma con l’inflazione sempre debole, ulteriori miglioramenti occupazionali hanno assunto un ruolo centrale. E i dettagli saranno passati al setaccio: non solo i grandi numeri, bensì la loro qualità dal part-time forzato alla partecipazione alla forza lavoro finora inchiodata ai minimi da trent’anni da schiere di lavoratori scoraggiati.
«Se i dati sono incoraggianti, un rialzo dei tassi a metà settembre sarà in agenda - ha detto Tim Rudderow del fondo Mount Lucas -. E darebbe in realtà una iniezione di fiducia al mercato sulle condizioni dell'economia», riflettendo ottimismo da parte della Fed. Ma non tutti ne sono convinti. Il Fondo Monetario Internazionale ha rafforzato i suoi appelli affinché il presidente Janet Yellen e la maggioranza del Fomc, il comitato decisionale della Fed, tengano conto di un’economia globale e paesi emergenti in affanno che sarebbero condizionati dalle mosse americane: nel documento preparato in vista del G20 odierno in Turchia ha chiesto che le scelte della Fed restino legate ai dati macroeconomici, che «finora hanno mostrato scarsi segnali di pressioni sui prezzi e sui salari». Cioè segnali che giustifichino davvero strette immediate.
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