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Questo articolo è stato pubblicato il 04 settembre 2015 alle ore 06:36.
Forse sono già superate. Le proiezioni di settembre dello staff della Banca centrale europea si basano per ragioni evidenti - le analisi richiedono tempo - solo sui dati disponibili al 12 agosto. E dopo?
Dopo quella data sono accadute troppe cose. Non la revisione cinese del regime di cambio, che risale all’11 agosto. Il 12 non era ancora chiaro se il riallineamento dello yuan con il dollaro era davvero limitato, o si trattava - come molti operatori credevano - dell’inizio di una svalutazione molto intensa. Oggi, a distanza di quasi un mese, è chiaro che il deprezzamento è stato del 3,8% circa, non limitato a quello “deciso” dalla Banca del popolo, ma neanche così intenso come quello - in realtà anch’esso relativamente piccolo - emerso il 12 agosto (-4,5%).
Da allora lo yuan è stato piuttosto fermo, anche se le forze del mercato, alle quali Pechino voleva affidarlo, lo avrebbero spinto verso il basso: la Borsa di Shanghai è infatti crollata, e Pechino è stata costretta a tagliare i tassi e la riserva obbligatoria e a intervenire con altri strumenti straordinari (ivi comprese le inchieste giudiziarie) per frenare la frana. L’effetto sulle condizioni monetarie di Eurolandia è stato forte: lo stesso Draghi ha riconosciuto che si sono irrigidite. Il cambio effettivo dell’euro, che il 12 agosto era ancora a 93,3235, è poi salito fino a 95,23, per poi calare a 93,8938. L’euro/dollaro - che incide nelle proiezioni Bce - era a quota 1,1156 il 12, è poi salito fino a 1,1711 per poi calare - dopo il messaggio di Draghi - fino a 1,1086. Analogamente, i rendimenti dei titoli di Stato sono saliti ben al di sopra dei livelli di inizio anno sulle scadenze intermedie, per poi scendere leggermente. Non è esattamente come un rialzo dei tassi della Bce, ma nei suoi effetti gli assomiglia molto.
La questione delle date è molto importante perché anche fermando gli orologi dell’analisi al 12, i risultati sono abbastanza grigi. Rallenta - rispetto alle proiezioni di giugno - la crescita, soprattutto a causa della frenata della domanda estera. L’inflazione intanto si allontana ulteriormente dall’obiettivo (“al di sotto ma vicino al 2%”) fermandosi nel 2017 all’1,7%. Escludendo i prezzi dell’energia, si fermerà anzi all’1,6%, e dunque la flessione del greggio inciderà solo fino all’anno prossimo. Tra due anni e mezzo, dunque, la situazione non sarà ancora normalizzata, con l’attuale politica monetaria. Un quantitative easing più incisivo era dunque una possibilità concreta già il 12 agosto.
Dopo? Lo staff della Bce ha deciso di tener conto di cosa è avvenuto successivamente. Non ha solo spiegato che i rischi sono orientati al ribasso, ma ha anche rielaborato l’analisi ipotizzando che le tendenze che si sono manifestate nelle ultimissime settimane si rivelino durature. Cosa accadrebbe allora se l’euro/dollaro salisse a quota 1,21 (cioè al livello di fine 2014) nel 2017? La crescita calerebbe di 0,2-0,4 punti percentuali (dunque all’1,4-1,6% nella tendenza centrale) e l’inflazione di 0,1-0,5 punti, e dunque all’1,2-1,6 per cento. Un petrolio più basso del 6% determinerebbe intanto «piccoli rischi al rialzo per le proiezioni di crescita e al ribasso per quelle di inflazione», mentre un greggio più alto dell’8% porterebbe a una crescita inferiore di 0,1 punti percentuali e un’inflazione più elevata di 0,1-0,2 punti.
Lo staff è andato anche oltre. Ha voluto valutare l’effetto sulla crescita di Eurolandia di tre fonti di incertezza: Cina, Federal Reserve e Paesi emergenti. Ha ipotizzato una crescita cinese più lenta di un punto percentuale e un aumento (di due deviazioni standard) della volatilità sull’indice Usa S&P’s 500 (Vix), per catturare l’incertezza sugli Emergenti. Curiosamente, ha anche preso in considerazione tassi Usa più elevati (+1,3 punti percentuali sui term premium) di quanto si preveda oggi, proprio mentre i mercati scommettono invece, non senza il sostegno delle dichiarazioni dei banchieri centrali americani, in una stretta più graduale.
Il risultato - molto incerto, spiega la Bce, per la relativa semplicità del modello (che è lineare a fronte di fenomeni che potrebbero essere non-lineari) è che la crescita del 2016 potrebbe rallentare dal +1,7% previsto finora fino all’1,5-1,6%; mentre mancano indicazioni sull’andamento dei prezzi.
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