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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2015 alle ore 08:10.

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ANKARA

Autodifesa e autocritica davanti al G-20 da parte dei rappresentanti della Cina, la cui frenata dell’economia e instabilità finanziaria sono considerate la principale ragione del rallentamento globale e delle turbolenze estive dei mercati.

«La nostra politica economica resta orientata alla stabilità», ha detto ieri sera, secondo fonti del G-20, il ministro delle Finanze cinese Lou Jiwei, per rassicurare ministri finanziari e banchieri centrali riuniti ad Ankara. «Dobbiamo guardare alla crescita di lungo periodo e non alle variazioni a breve termine degli indici», ha affermato Lou, ribadendo la determinazione di Pechino alle riforme dell’economia e ricordando che, seppure inferiore agli anni scorsi, la crescita della Cina resta comunque quasi un terzo di quella globale. Il colosso asiatico, ha detto, ha avviato una transizione dall’espansione trainata da export e investimenti alla spinta dei consumi, dall’industria ai servizi: «Un processo che durerà 5-10 anni».

Pechino è consapevole tuttavia delle preoccupazioni generate quest’estate dalla volatilità del proprio mercato azionario, che si sono propagate al resto del mondo, e dall’incertezza causata dalle sue contromisure a volte contradditorie. Il governatore della Banca centrale, Zhou Xiaochuan, ha sottolineato, secondo le fonti del G-20, come la Borsa fosse salita del 70% fra marzo e giugno e una correzione fosse «necessaria». «La bolla era destinata a scoppiare», ha detto Zhou. La Banca centrale ha risposto alle tre successive ondate di vendite (la terza delle quali, a fine agosto, inattesa) abbassando i tassi d’interesse e iniettando liquidità. «Abbiamo evitato il rischio sistemico, ma alcune misure, che stiamo rivedendo, non sono state efficaci», ha ammesso in una rara, esplicita autocritica. La svalutazione dello yuan, che ha messo a rumore i mercati, alla fine è stata capita, secondo il governatore, ha in parte bilanciato l’apprezzamento precedente e faceva parte di una più ampia liberalizzazione del regime di cambio.

Non c’è dubbio tuttavia che gli eventi dell’estate abbiano preoccupato il resto del G-20 ed è mancato forse nell’intervento dei due esponenti cinesi il chiarimento sulle prossime mosse chiesto dal presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, giovedì a Francoforte. Draghi è in allerta sui rischi, tanto da dichiarare esplicitamente che la banca è pronta ad agire se il peggioramento, in parte causato dagli sviluppi della situazione in Cina, dovesse prolungarsi. Ieri, nel suo discorso al G-20, pur senza citare Pechino, ha attribuito la volatilità dei mercati molto più ampia che nel recente passato «al disagio per le scelte di alcuni grandi Paesi emergenti», oltre che ai timori per il settore finanziario in genere.

Il G-20 nel suo complesso a sua volta evita, come è prassi, di menzionare la Cina nel suo comunicato che verrà diffuso oggi. Ma recupera, sulle politiche monetarie e sui cambi, una frase dei comunicati del 2013 (in piena “guerra delle valute”) che recentemente era stata data per scontata. Le decisioni di politica monetaria vanno indirizzate agli obiettivi interni e non al cambio, e vanno «calibrate e comunicate» chiaramente. Vanno evitate «le svalutazioni competitive». «Ribadiamo il nostro impegno a muovere più rapidamente verso sistemi di cambio determinati dai mercati (il destinatario è chiaramente la Cina ndr) e a una flessibilità che rifletta i fondamentali dell’economia e a evitare disallineamenti persistente». Peraltro, ha detto al Sole 24 Ore un governatore europeo, i partner di Pechino non ritengono che in questo momento lo yuan sia sottovalutato. C’è il dubbio, però, se gli interventi sui mercati con la mano pesante nei mesi scorsi siano compatibili con lo status di valuta di riserva cui la Cina aspira.

Il G-20 riconosce che la crescita globale è indebolita, come affermano le previsioni del Fondo monetario e dell’Ocse, ma vuole evitare di offrire un quadro troppo pessimista per non alimentare l’ansietà dei mercati. Altro grande elemento di incertezza sono i tempi del rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve, che potrebbe arrivare già questo mese. Il vicepresidente della Fed, Stan Fischer, ha spiegato a inizio riunione, secondo i partecipanti, le possibili ragioni del rialzo in un’economia Usa in ripresa, ma ha evitato accuratamente di pronunciarsi sul timing. Alla fine, come ha ripetuto Draghi, non ci si può sempre affidare troppo alla politica monetaria; il G-20 è la sede giusta perché i Governi si assumano la responsabilità delle riforme.

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