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La crisi cinese e l’attendismo della Fed sui tassi smorzano gli effetti…

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I PRIMI MESI DEL PIANO DRAGHI

La crisi cinese e l’attendismo della Fed sui tassi smorzano gli effetti del «Qe»

La Cina ha eroso gli effetti del Qe europeo sui listini. La staffetta tra Federal Reserve e Banca centrale europea nel fornire liquidità ai mercati ha proceduto senza intoppi fino a questa estate. Gli effetti del quantitative easing della Bce – partito ufficialmente il 9 marzo quando l’istituto di Francoforte ha iniziato ad acquistare titoli di Stato dell’Eurozona e titoli privati al ritmo di 60 miliardi di euro al mese – sono ora messi a dura prova dalla turbolenza che ha colpito le quotazioni finanziare a partire dall’11 agosto, quando la Cina ha svalutato lo yuan seminando incertezza sui mercati.

L’incertezza è aggravata dall’atteggiamento della Federal Reserve, che il 17 settembre dovrà decidere se aumentare il costo del denaro, avviando un lento percorso di normalizzazione della politica monetaria. Ma se deciderà in questa direzione si schiererà apertamente contro la Cina che resta il secondo possessore, dopo il Giappone, di bond governativi statunitensi. La Cina sta rallentando, il suo yuan non può più seguire il dollaro nel suo percorso di rafforzamento alla luce del previsto rialzo dei tassi.

Per questo la Cina ha svalutato lo yuan, sganciandosi in parte dal dollaro e dalla politica monetaria degli Usa. E per questo la Cina non desidera un rialzo dei tassi Usa, che comporterebbe un ulteriore rafforzamento del dollaro e la costringerebbe a svalutare ancora lo yuan. Seminando altra incertezza anche sulle vicine economie emergenti, fortemente indebitate in dollari. Si è rotto il vaso di Pandora, un sottile equilibrio su cui si sono retti artificialmente i mercati negli ultimi mesi. Anche grazie, dall’altra parte, al primo quantitative easing della storia dell’Eurozona.

Insomma, se il passaggio di testimone fra Stati Uniti ed Eurozona stava procedendo bene, il terzo incomodo Cina (e il suo non ancora ben stimato rallentamento economico) rischia di far saltare gli schemi. Costringendo la Bce a correre ai ripari e ad annunciare – come ha fatto Mario Draghi giovedì – che la prima formula del quantitative easing (acquisto di titoli fino a settembre 2016) potrebbe non bastare più. «Se necessario» i tempi e le modalità verranno potenziati.

I numeri indicano infatti che la Cina ha parzialmente vanificato l’effetto positivo che il «Qe» aveva avuto sulle asset class finanziarie e sta contribuendo a far rallentare le stime di ripresa dell’economia dell’Eurozona, riviste dalla Bce al ribasso per i prossimi tre anni rispetto alle precedenti stime. Dal 9 marzo – da quando la Bce ha iniziato a comprare titoli - Piazza Affari ha perso il 4% le Borse europee il 10%. Il rendimento dei BTp anziché diminuire, è salito dall’1,3% all’1,9%, anche se per la verità la distanza dal Bund (che un tempo misurava la tensione verso i «periferici») si è mantenuta sostanzialmente sotto controllo poco oltre i 100 punti base. L’euro si è rivalutato nei confronti del dollaro del 2,46%.

Ovviamente, prima che ci si mettesse di mezzo la Cina - e la violenta correzione del petrolio che a cascata sta facendo ridiscendere le stime di inflazione nel medio periodo nell’area (1,6%) sotto l’obiettivo vicino al 2% - l’effetto del «Qe» era positivo. Ma questa fase di avversione al rischio ne ha annacquato la portata, spingendo quindi la Bce a preparare una nuovo «bazooka» per riportare lo scenario alla fase pre-estiva, quando l’azione di Francoforte pareva funzionare a gonfie vele con ricadute positive sui mercati e sulle prospettive di crescita economica dell’area.

Se però partiamo un po’ più indietro, e cioè da novembre 2014, ovvero da quando i mercati hanno iniziato a subodorare una manovra nell'Eurozona, il bilancio resta ancora positivo. I mercati, si sa, si portano sempre avanti. Ed è stato da novembre – da quando circolavano le prime indiscrezioni sul piano di stimoli Bce – che gli acquisti su Borse e titoli di Stato dell’Eurozona e le vendite sull’euro sono iniziati. Da allora Piazza Affari resta in positivo (+13%) così come le Borse europee (+5%). L’euro vola più basso del dollaro del 16% (determinando quindi una svalutazione competitiva che avvantaggia l’economia europea e che è uno dei primi effetti di qualsiasi Qe) così come il rendimento del BTp a 10 anni è calato (a novembre era ancora al 2,3%). Se però l’attuale fase di avversione al rischio proseguirà e se la Fed alzerà il 17 settembre i tassi di interesse, c’è il rischio concreto che anche l’effetto allargato del «Qe», quello che vede il conteggio partire da novembre, passi in territorio negativo. Un bel grattacapo, quasi un sudoku, per la Bce.

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