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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2015 alle ore 08:11.
PECHINO
La verità vera sulla bolla cinese la diranno, domani, i mercati. Shanghai e Shenzhen riaprono, infatti, i battenti dopo lo stop per le celebrazioni per i 70 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale di giovedì scorso. Una pausa strategica che è servita a mettere la sordina alla situazione economica giusto in tempo per permettere alla parata militare di concludersi in piena tranquillità.
Hong Kong invece venerdì ha chiuso con un sonoro -2,5, dall’inizio dell’anno la piazza ha perso un quarto del valore, ma quelle di Mainland China erano chiuse, proprio quelle che dovranno dire se l’ennesima iniezione di liquidità della Banca centrale effettuata prima della parata militare e le nuove regole introdotte per stabilizzare lo yuan, tra cui l’obbligo per le banche commerciali di congelare il 20% delle riserve in dollari, avranno centrato o no l’obiettivo.
Fino ad allora le valutazioni del G-20 di Ankara restano, incluso il mea culpa del Governatore Zhou Xiaochuan, soltanto supposizioni o meri auspici che le turbolenze si plachino. La Cina ha permesso allo yuan di svalutarsi di ben due punti dopo che l’indice Shanghai Composite aveva perso il 40 per cento dal punto massimo raggiunto in tre anni il 12 giugno. Una pessima combinazione che ha innescato vendite a catena e l’instabilità delle borse globali, a cominciare da quelle dei Paesi più legati alla Cina anche da forti rapporti commerciali.
L’idea che la Cina, il Paese che già da queste settimane si sta preparando a guidare il G-20 nel 2016, possa collassare trascinando le economie di mezzo mondo fa davvero paura, al G-20 in corso ad Ankara è tutto un voler rassicurare gli animi e soprattutto gli operatori. Dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble secondo il quale «la Cina ha assicurato che proseguirà con riforme dei mercati finanziari», alla fiducia manifestata dal ministro delle finanze cinese Lou Jiwei al collega sudcoreano Choi Kyung-hwan durante i loro colloqui. La Corea del Sud è il primo esportatore verso la Cina, i timori non sono affatto infondati.
Comunque nessuno sa come le autorità cinesi riusciranno a placare le forze del mercato che rischiano di scatenarsi nuovamente. Lou Jiwei ha anche ribadito che «la Cina continuerà nelle riforme e negli sforzi di ristrutturazione dell’economia tra cui i passi necessari a promuovere la crescita nel settore dei servizi del Paese, aprendo la strada per una crescita futuro sostenibile» ha detto. Inoltre , ha aggiunto, «la Cina, assumendo la presidenza del G-20 il prossimo anno, vuole concentrarsi maggiormente sull’espansione investimenti infrastrutturali». Affermazione perfettamente in linea con la strategia perseguita dalla Cina di Xi Jinping e Li Keqiang.
Non ci saranno comunque più mosse a sorpresa come la svalutazione dell’11 agosto dello yuan. Ma come ha anche sottolineato Yi Gang, vicegovernatore della Banca centrale, «nessuno può prevedere esattamente sulla volatilità del mercato, ma sono fiducioso che il tasso di cambio del renminbi sarà più o meno stabile intorno al livello di equilibrio, i fondamentali dell’economia cinese sono stabili».
Non è semplice camb iare il modello produttivo, né ridurre l’indebitamento e rendere effettive le misure per riequilibrare il mercato, la Cina sta vivendo il momento più difficile della sua storia recente. Pur avendo limiti evidenti, tra cui una moneta non convertibile e mercati finanziari sostanzialmente chiusi agli investimenti stranieri si ritrova in balia di tempeste monetarie e azionarie che certamente non è attrezzata a contrastare. Dal canto suo ha anche una centralizzazione di poteri che rende, nel bene e nel male, più rapide le decisioni .
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