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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2015 alle ore 08:11.

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ANKARA

A poco più di dieci giorni dalla riunione della Federal Reserve che potrebbe decretare il primo rialzo dei tassi d’interesse dal 2006, la banca centrale americana non ha offerto alcuna indicazione, nonostante le pressioni dei partner del G-20, se intenda muoversi alla riunione di settembre. Il comunicato della riunione dei ministri finanziari e dei governatori nota che con il miglioramento delle prospettive dell’economia, «una restrizione della politica monetaria è più probabile in alcuni Paesi avanzati», un chiaro riferimento agli Stati Uniti. Lo scenario della crescita globale, invece, è al di sotto delle aspettative, dice il documento.

«Volete sapere da me se alzeremo i tassi a settembre? – ha scherzato nella riunione a porte chiuse il vicepresidente della Fed, Stan Fischer, che ha detto di parlare anche a nome della numero uno, Janet Yellen, non presente ad Ankara – Non ve lo posso dire perché non lo so». La decisione della banca centrale Usa resta «dipendente dai dati» fino all’ultimo. I più recenti, quelli sulla disoccupazione sono stati inferiori alle attese, ha osservato il direttore del Fondo monetario Christine Lagarde. L’Fmi sostiene da tempo che la Fed dovrebbe attendere ancora prima di agire. Non deve affrettarsi, ha ribadito ieri la signora Lagarde, con il rischio di dover poi ribaltare la decisione più avanti, e invece dovrebbe «agire solo quando i dati sono confermati, sui prezzi e sulla disoccupazione».

L’incertezza sulla decisione della Fed, tuttavia, sta creando volatilità sui mercati finanziari e questo ha indotto alcuni partecipanti alla riunione a sollecitare la banca centrale americana a muoversi. «Direi alla Fed, come nello slogan della Nike, Just do it!», ha dichiarato il segretario dell’Ocse, Angel Gurria, sottolineando che i Paesi emergenti, che temono questo possa avere ripercussioni su di loro accelerando fuoriuscite di capitali, hanno avuto tutto il tempo di prepararsi, dato che il primo avviso di una progressiva restrizione da parte dell’allora presidente della Fed, Ben Bernanke, risale a oltre due anni fa. Altri hanno notato, come il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che un rialzo dei tassi Usa sarebbe un segnale che l’economia americana è in ripresa e quindi una buona notizia per il resto del mondo.

Il G-20 richiama a «calibrare attentamente e comunicare chiaramente» nel caso di decisioni importanti (un riferimento anche alla confusione della Cina nelle scorse settimane nello spiegare i propri interventi in piena turbolenza di mercato), per minimizzare le ripercussioni e mitigare l’incertezza.

I banchieri centrali, tuttavia, vogliono evitare di essere ancora una volta, come è spesso accaduto negli ultimi anni, gli unici attori della politica economica cui viene chiesto di intervenire. «La politica monetaria – dice il comunicato – continuerà a sostenere l’attività economica, coerentemente con il mandato delle banche centrali, ma non può da sola portare a una crescita bilanciata», un punto su cui ha insistito il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, e che ha trovato d’accordo la maggioranza dei partecipanti, a partire dal segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew. Secondo la signora Lagarde, comunque, sono soprattutto l’area dell’euro e il Giappone a dover mantenere una politica di stimolo monetario. Visco, rifacendosi alla conclusioni del consiglio della Bce di giovedì, ha sostenuto che «nel corso del prossimo anno, se l’obiettivo di far risalire l’inflazione non fosse raggiunto, la Bce è pronta ad agire». Ha aggiunto però che il consiglio guarderà al trend, al di là dei singoli indicatori.

Per evitare che la politica monetaria sia lasciata sola, c'è ancora una volta il richiamo alla «strategia di crescita» elaborata lo scorso anno dal G-20: al vertice dei leader a novembre, verrà pubblicato un rapporto di verifica del mantenimento delle promesse di un anno fa. Nel frattempo, però, la crescita effettiva è calata e quindi l’obiettivo del 2% addizionale nei prossimi cinque anni, attraverso l’applicazione delle misure annunciate, partirà comunque da una base più bassa.

Secondo le attese, il G-20 ha ribadito di voler evitare svalutazioni competitive, argomento tornato di attualità dopo l’annuncio della Cina quest’estate. Ai cinesi è stato riconosciuto da molti partecipanti di essere stati più aperti che nel passato nello spiegare quello che hanno fatto, come era stato richiesto, tra gli altri, da Draghi, mentre hanno ribadito l’impegno alle riforme. «Non è una sorpresa – ha detto il direttore dell’Fmi – che ci siano scossoni in quella che è una transizione estremamente difficile da un’economia a completo controllo statale a una più guidata dalla leggi del mercato».

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