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Questo articolo è stato pubblicato il 08 settembre 2015 alle ore 06:35.

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Le quotazioni del rame e i titoli minerari hanno ricevuto una boccata di ossigeno dal maxipiano di riduzione del debito annunciato da Glencore, che prevede tra l’altro la sospensione di due importanti miniere africane. Ma per le materie prime (e forse anche per il metallo rosso) non sembra ancora arrivato il momento dell’inversione di rotta. Proprio ieri il petrolio è anzi stato di oggetto di nuove pesanti vendite, in una seduta dai volumi sottili a causa della festività del Labor Day negli Stati Uniti, ma caratterizzata anche dalla riapertura - in negativo - dei mercati cinesi, ormai cruciali nell’orientare i corsi delle commodities. Il Brent ha perso il 4%, chiudendo a 47,63 dollari al barile.

Il rame - dopo essere crollato solo due settimane fa ai minimi da sei anni (4.855 $/tonnellata) - ha invece preso la direzione opposta. La reazione immediata agli annunci di Glencore è stata un balzo di oltre il 2% al London Metal Exchange, che ha spinto il prezzo del metallo fino a 5.208 $/tonnellata (base tre mesi). Il rialzo non ha contagiato gli altri non ferrosi e si è in seguito ridimensionato, ma ha beneficiato tutto il comparto minerario, che a Londra ha trascinato in positivo il listino. Antofagasta in particolare, altro produttore di rame, ha anch’esso guadagnato oltre il 7 per cento.

Con la sospensione per 18 mesi delle attività estrattive di Mopani in Zambia e di Katanga nella Repubblica Democratica del Congo, entrambe caratterizzate da costi operativi troppo elevati, Glencore rimuoverà dal mercato 400mila tonnellate di catodi di rame: una quantità che secondo alcuni analisti potrebbe essere sufficiente a cancellare del tutto l’attuale condizione di eccesso di offerta, fino a produrre addirittura un deficit di metallo entro l’anno prossimo.

Si tratta di un «game changer», un elemento di svolta decisivo, secondo Leon Westgate di Icbc Standard Bank, che ha un atteggiamento particolarmente positivo sul rame. La banca calcola che una serie di eventi - tra cui le avversità climatiche provocate dal Niño e i tagli volontari di altri produttori come Freeport-McMoRan - abbianmo già tolto dal mercato 1,5 milioni di tonnellate di rame quest’anno: un calo di offerta superiore a quello che c’era stato nel 2008. Glencore avrebbe insomma dato soltanto il colpo di grazia.

Altri, come Deutsche Bank, sono più prudenti: «Probabilmente non basterà a risollevare il prezzo in modo consistente - afferma Grant Sporre, capo della ricerca sui metalli - ma certamente fornirà un sostegno al mercato».

A voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, preoccupa in effetti che un gigante come Glencore - guidato da una vecchia volpe dei mercati come Ivan Glasenberg - abbia assunto una visione tanto negativa del settore delle materie prime. Il gruppo, grazie alla potente divisione di trading, è sempre stato considerato un passo avanti ai concorrenti nella capacità di vedere - prima ancora che comprendere - le dinamiche sul mercato. «Abbiamo preparato il nostro bilancio per l’Armageddon», ha dichiarato Glasenberg.

Il rame d’altra parte è una delle rare materie prime in cui il mercato ha la possibilità di riequilibrarsi in tempi brevi, perché non si è mai creato l’enorme surplus di offerta che affligge invece il minerale di ferro, il carbone e lo stesso petrolio.

Ieri Igor Sechin, ceo della compagnia petrolifera russa Rosneft, ha accusato l’Opec della situazione in cui versa il mercato: «Bisogna riconoscere che l’età d’oro dell’Opec è finita - ha detto - Non riescono a rispettare le quote di produzione che loro stessi si impongono. Se l’avessero fatto il mercato oggi si sarebbe ormai riportato in equilibrio».

.@SissiBellomo

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Il piano di Glencore

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