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Sanità, dazi, lavoro al test della Brexit

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Sanità, dazi, lavoro al test della Brexit

  • –Micaela Cappellini

Fra zero tasse universitarie e una retta da 36mila sterline all’anno, la vita cambia parecchio. In quanti italiani ancora potrebbero permettersi di andare a studiare negli atenei della Gran Bretagna? A queste 36mila sterline - è il massimo, sia chiaro, lo pagano solo gli studenti extracomunitari di Medicina - bisognerebbe aggiungere i costi delle cure mediche, perché l’assistenza sanitaria non sarebbe più gratuita. Il tutto senza più poter fare affidamento sui prestiti studenteschi, che possono arrivare a concedere una boccata d’ossigeno da 9mila sterline all’anno.

Tra un mese esatto, il 23 di giugno, i britannici saranno chiamati a scegliere se rimanere o no nella Ue. A oggi, i bookmaker propendono per lo status quo, che pagano 1,15, mentre l’addio all’Europa è quotato 3,35 volte. Molto si è detto finora di quali sarebbero i costi economici di un’eventuale uscita: dal crollo del Pil alla discesa degli investimenti esteri, fino alle ricadute sulle altre economie dell’Unione. Ma cosa cambierebbe per i cittadini nella vita di tutti i giorni? E per le imprese?

Molto - anzi tutto - dipende da che tipo di relazione la Gran Bretagna andrebbe a negoziare con la Ue dopo esserne uscita. Saremo cugini, o diventeremo solo conoscenti?

Studenti universitari

Torniamo al caso dello studente universitario italiano, che oggi non paga nulla se studia in un ateneo scozzese e se invece vive a Londra versa al massimo 9mila sterline di tasse all’anno, al pari del suo vicino di banco inglese: «Nella peggiore delle ipotesi, perderebbe ogni diritto che lo mette alla pari di un qualsiasi studente britannico», ammette l’avvocato Martin Pugsley, dello studio legale Delfino Willkie Farr & Gallagher, che insieme a Maurizio Delfino si sta occupando in maniera approfondita del tema. Pugsley vive e lavora in Italia da più di quindici anni, e come cittadino inglese in Italia è coinvolto in prima persona. «Molto probabilmente, però - prosegue Pugsley - si troverà una via di mezzo: il governo inglese negozierà con la Ue una nuova fascia di contribuzione per gli studenti europei e anche la mutua reciprocità per l’assistenza sanitaria. Il Regno Unito è il secondo più importante destinatario di finanziamenti per la ricerca della Ue e la maggior parte di questi vanno ai suoi atenei con quasi mille progetti. Il 15% della forza accademica britannica proviene da altri Paesi Ue e più di 200mila studenti del Regno Unito hanno trascorso del tempo all’estero. Quindi, se da un lato il governo inglese vorrebbe risparmiare denaro grazie alla mancata concessione di prestiti agli studenti europei, il Regno Unito perderebbe l’accesso ai finanziamenti per la ricerca e anche ai regimi di mobilità. A conti fatti, probabilmente Londra cercherebbe di mantenere l’attuale situazione».

Lavoratori

Prendiamo ora un italiano che vive e lavora a Londra: secondo l’Anagrafe della popolazione italiana residente all’estero, soltanto di under 40 oggi ce ne sarebbero 16.500. La questione però interessa anche ai 3 milioni di cittadini europei che lavorano in Gran Bretagna e, per la regola della reciprocità, anche agli 1,8 milioni di cittadini inglesi che vivono nel resto della Ue. «Con buona probabilità - spiega l’avvocato Pugsley - per tutte queste persone non cambierà nulla. Anche perché chi già vive e lavora a Londra al momento di un’eventuale Brexit continuerebbe a godere di diritti acquisiti individuali ai sensi della Convenzione di Vienna del 1969».

Molto più incerto il caso di un italiano che fosse in procinto di trasferirsi a Londra il giorno dopo la Brexit; o di un inglese che volesse andare a vivere nel Chiantishire a referendum chiuso: «Nella peggiore delle ipotesi - sostiene Pugsley - per lavorare potrebbe rendersi necessario il visto e il diritto a vedere riconosciuta la propria qualifica professionale verrebbe meno».

Aziende

Le imprese italiane che hanno una sede in Gran Bretagna e lì versano le tasse potrebbero stare moderatamente tranquille: certo, le conseguenze fiscali dovrebbero essere valutate singolarmente, ma nel complesso Londra continuerebbe a beneficiare dei trattati contro le doppie imposizioni e ne sarebbe vincolata. Quindi un’uscita dalla Ue non avrebbe alcun effetto. Per quanto riguarda invece i contratti esistenti, molto dipenderebbe dall’oggetto del contendere: «Se entrava in gioco una particolare legislazione comunitaria - spiega Pugsley - è possibile che il contratto sia compromesso e vada riscritto».

E per un’azienda italiana che in Gran Bretagna non ha filiali, ma esporta solo beni o servizi? «La cosa più probabile in caso di Brexit - sostiene Pugsley - è che Londra negozi con Bruxelles un accordo di libero scambio sul modello di quelli in vigore oggi tra la Ue e la Svizzera o tra la Ue e l’Unione doganale turca. Ma nel più fosco degli scenari di divorzio, potrebbero addirittura essere imposte tariffe punitive». Da una parte e dall’altra.

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